In un contesto in cui Google elabora oltre 14 miliardi di ricerche al giorno, anche un piccolo cambiamento nel modo in cui vengono presentati i risultati può avere effetti enormi sul tuo business online.
L’introduzione di Google AI Mode segna proprio uno di questi cambiamenti epocali: annunciata come una “completa reimmaginazione della Ricerca”, AI Mode trasforma la classica pagina di risultati (i “10 blu link”) in un’esperienza conversazionale e interattiva.
I primi dati sono tutt’altro che incoraggianti: calo medio del 34,5% nel tasso di clic organici (CTR).
Ma ogni cambiamento c’è un’opportunità.
Ho analizzato in dettaglio queste trasformazioni, spiegando cosa significano per la tua strategia digitale. Dati concreti, analisi tecniche e consigli pratici per assicurarti che il tuo business continui a prosperare online.
Ci sei? Partiamo!
- La ricerca diventa conversazionale: AI Mode passa dai “10 blu link” a risposte dirette con citazioni integrate, trattenendo l’utente dentro Google.
- Traffico organico in calo: primi test indicano -30% / -70% di clic verso i siti perché la risposta è già in SERP.
- Nasce la SEO per l’AI: obiettivo non solo il ranking, ma l’inclusione nelle risposte generative; servono contenuti strutturati e leggibili dai modelli.
- Dati strutturati & autorevolezza: schema/markup ben fatti e brand authority diventano determinanti per essere citati.
- Nuova metrica: AI Visibility: la domanda chiave diventa “appaio nelle risposte AI?”; va monitorata e ottimizzata come una SERP.
Indice dei contenuti
ToggleIntroduzione all’AI Mode
Google sta inaugurando una nuova era della ricerca online con l’introduzione di AI Mode, un sistema basato su modelli di intelligenza artificiale generativa integrato nel motore di ricerca.
Annunciato a Google I/O 2025 come una “completa reimmaginazione della Ricerca”, AI Mode trasforma la classica pagina di risultati (i “10 blu link”) in un’esperienza conversazionale e interattiva.
Invece di limitarsi a mostrare una lista di siti web, Google fornisce direttamente mini-articoli o risposte articolate che cercano di soddisfare le domande degli utenti senza che questi debbano cliccare altrove.

Questa innovazione offre potenzialità entusiasmanti per gli utenti – risposte più rapide e ragionate, la possibilità di porre domande di follow-up, input vocali o visivi – ma ha anche innescato un acceso dibattito sugli impatti per l’ecosistema del web, il marketing digitale e i modelli di business online.
Esamineremo ora l’evoluzione di Google Search dall’introduzione dell’AI generativa (dagli AI Overviews fino all’attuale AI Mode), ne analizzeremo i rischi e le opportunità, e delineeremo gli scenari futuri.
Particolare attenzione sarà riservata alle implicazioni per chi fa impresa sul web – e-commerce, editori di contenuti, aziende locali, professionisti SEO/SEM e marketer – in un contesto dove la Search Generative Experience di Google potrebbe ridisegnare le regole del gioco del traffico online.
Dalle AI Overviews ad AI Mode: l’evoluzione della ricerca Google
Nel 2024 Google ha mosso i primi passi nell’integrare l’AI generativa nei risultati di ricerca con le AI Overviews, brevi sintesi generate dall’IA mostrate in cima alla SERP (Search Engine Results Page) al posto dei tradizionali snippet. Queste anteprime AI hanno avuto un successo immediato: entro il 2025 venivano utilizzate 1,5 miliardi di volte al mese, in oltre 200 Paesi.
Google ha rilevato che, nei mercati principali come USA e India, le AI Overviews hanno portato a un incremento di oltre il 10% nelle ricerche di tipo complesso che mostrano queste risposte. Forte di questo riscontro, Google ha accelerato sullo sviluppo di un’esperienza di ricerca completamente AI-driven.
AI Mode è stato inizialmente reso disponibile come esperimento in Search Labs (per utenti selezionati) a marzo 2025, per poi essere lanciato al grande pubblico negli Stati Uniti in maggio 2025, contestualmente al keynote di I/O.
A differenza delle brevi Overviews, AI Mode offre un approccio conversazionale e approfondito: quando l’utente attiva questa modalità (tramite un pulsante o scheda dedicata, accanto alle schede “All”, “Images”, “News” etc.), la pagina di ricerca viene ripensata.
Al centro domina una risposta generata dall’intelligenza artificiale – spesso in forma di testo esteso, tabelle o liste puntate, con riferimenti a fonti. I link ai siti web non scompaiono, ma vengono spostati lateralmente (su desktop) o in basso, come fonti citate a supporto della risposta AI.
In pratica, i link diventano un elemento secondario: servono a verificare o approfondire quanto affermato dall’IA, ma non sono più il fulcro dell’esperienza di ricerca dell’utente medio.
Dal punto di vista tecnico, Google ha spiegato che AI Mode utilizza un approccio denominato “query fan-out”: la domanda dell’utente viene scomposta automaticamente in sotto-quesiti tematici ed eseguita attraverso molteplici ricerche parallele.
In altre parole, l’IA effettua per noi una ricerca approfondita “dietro le quinte”, setacciando il web in tempo reale e combinando le informazioni per fornire una risposta unificata e coerente. Questo consente di andare più a fondo rispetto alla ricerca tradizionale, scoprendo contenuti potenzialmente più rilevanti e nascosti nelle pieghe del web.
AI Mode è potenziato dai più avanzati modelli linguistici di Google (famiglia Gemini): già al lancio integrava una versione custom di Gemini 2.5, capace di ragionamento avanzato e input multimodali.
Gli utenti possono infatti porre quesiti complessi in linguaggio naturale, anche lunghi o con immagini e voce, e l’IA risponde in modo conversazionale, permettendo domande successive di chiarimento o approfondimento.
Google ha progressivamente esteso AI Mode a livello globale: dopo USA e India nell’estate 2025, la funzionalità è ora (ottobre 2025) sbarcata in Europa (inclusa l’Italia).
L’interfaccia utente è stata progettata per favorirne l’adozione: su mobile, ad esempio, il tab “AI Mode” è posizionato all’estrema sinistra, dove solitamente c’è “Tutto/All”, così che molti utenti potrebbero attivarlo quasi inconsapevolmente, cliccando per abitudine sulla prima scheda disponibile.
Google sembra intenzionata a rendere AI Mode non solo una curiosità opzionale, ma parte integrante (e presto predefinita) dell’esperienza di ricerca.
Ciò pone la ricerca online su un percorso di trasformazione irreversibile, con implicazioni significative sia dal punto di vista tecnologico che socio-economico.
I rischi e le sfide della ricerca AI-generata
Nonostante le promesse di maggiore comodità e intelligenza nella ricerca, AI Mode solleva numerose preoccupazioni tra gli esperti, che mettono in guardia sui potenziali effetti collaterali per l’ecosistema aperto del web e per gli utenti stessi. Di seguito analizziamo i principali rischi identificati.
Crollo del traffico verso i siti web e sostenibilità del web
La critica più immediata riguarda l’erosione del traffico in uscita da Google. Se l’IA fornisce la risposta direttamente sulla pagina, l’utente ha meno incentivo a cliccare sui risultati organici. “AI Mode può di fatto aggirare la necessità di visitare siti esterni”, spiega un’analisi, evidenziando che Google ora trattiene l’utente fornendogli subito ciò che cerca.
Studi iniziali sul predecessore AI Overview mostrano già un impatto significativo: diverse ricerche stimano che le AI Overviews abbiano ridotto i clic verso i siti web in un range tra il 30% e il 70% a seconda della tipologia di query. Lily Ray, esperta SEO e VP di Amsive, avverte che se AI Mode diventasse la modalità di default “avrà un impatto devastante su Internet […] riducendo gravemente la principale fonte di guadagno per la maggior parte degli editori e disincentivando la creazione di contenuti”.
Già oggi si stima che circa 60% delle ricerche su Google non producono alcun clic (“zero-click searches”), segno che gli utenti spesso trovano risposta senza uscire dalla pagina di Google. Barry Adams, fondatore dell’agenzia SEO Polemic Digital, prevede che con AI Mode la percentuale di clic verso il web potrebbe dimezzarsi ulteriormente (“circa la metà [dei clic] – nello scenario ottimistico”), mettendo a rischio la sopravvivenza di molti business online.
In effetti, impression e visibilità dei siti potrebbero persino aumentare mentre i clic calano drasticamente: Gisele Navarro, content manager di un sito di recensioni, ha visto le proprie pagine apparire sempre più spesso nei risultati (grazie alle citazioni AI), ma i clic diminuire del ~30% parallelemente.
In sostanza, Google sta mostrando i contenuti di più siti (breadth), ma trattenendo gli utenti con le risposte aggregate – uno scenario insidioso per chi monetizza con le visite.
Modello economico e “content fatigue”
Il web tradizionalmente si regge su un patto implicito: i creatori di contenuti (editori di notizie, blogger, community, ecc.) producono informazioni liberamente accessibili, e i motori di ricerca (Google in primis) convogliano traffico verso di essi, generando opportunità di monetizzazione (pubblicità, abbonamenti, lead, vendite). AI Mode rischia di spezzare questo equilibrio.
Se Google sfrutta i contenuti altrui per fornire risposte dirette ma non restituisce traffico, molti creatori potrebbero decidere di non condividere più gratuitamente il proprio lavoro.
“È la definizione di furto: loro fanno soldi con i nostri contenuti e noi non otteniamo nulla in cambio” ha dichiarato Danielle Coffey, presidente della News/Media Alliance (associazione di 2200 testate).
In prospettiva, alcuni ipotizzano l’avvento di un “machine web”, ovvero un web pensato per le macchine più che per gli umani. In questo scenario (che la BBC ha descritto come un possibile futuro prossimo), i siti web diventano fornitori di dati per le IA: “una versione di internet dove l’AI è il lettore principale e i siti sono progettati per essere letti dalle macchine, non dalle persone”.
Demis Hassabis, CEO di Google DeepMind, prevede che “tra pochi anni gli editori forniranno i contenuti direttamente ai modelli AI. Molti non si preoccuperanno nemmeno di pubblicarli su siti web per lettori umani”. Il rischio è dunque un circolo vizioso: meno traffico ai siti ⇒ meno ricavi ⇒ minore incentivo a produrre contenuti di qualità aperti ⇒ l’AI ha meno materiale informativo aggiornato da cui attingere, minando l’utilità stessa del sistema.
Alcuni esperti SEO su forum professionali hanno manifestato stupore per quella che ritengono una mossa miope di Google: “Possibile che Google non capisca le implicazioni di ridurre il traffico alle fonti da cui dipende per alimentare SGE? […] Cosa farà quando quei contenuti non saranno più prodotti perché la fonte non ha ritorni per giustificarli?”.
Un utente su Reddit ha ipotizzato che Google conti sul fatto che “ci sarà sempre abbastanza contenuto gratuito generato dagli utenti (reddit, wiki, forum) a colmare il vuoto se le pubblicazioni professionali scompaiono” – contenuti creati per passione o altruismo, senza aspettative di guadagno.
Ma se anche community come Reddit iniziano a subire cali di visitatori “di passaggio” da Google, potrebbero ridurre la visibilità di quei contributi o metterli dietro login (come già avvenuto con le restrizioni API di Reddit nel 2023).
Bias, filtro algoritmico e perdita di diversità
Un altro timore riguarda l’effetto di omogeneizzazione dell’esperienza di ricerca. Con AI Mode, è l’algoritmo di Google (il modello linguistico) a selezionare e sintetizzare per noi le informazioni.
Questo potrebbe creare “bolle di filtraggio” e conferme ai bias esistenti, presentando all’utente esattamente la risposta che si aspetta di trovare e potenzialmente rafforzando disinformazione o visioni distorte.
Mike King, esperto di marketing di iPullRank, avverte: “Google sta interpretando le informazioni per te. Le risposte che ti aspetti sono quelle che otterrai. E le disinformazioni rischiano di essere rinforzate”.
Inoltre, l’AI potrebbe attenuare la pluralità di punti di vista: mentre una pagina di risultati tradizionale offre diversi link (spesso con opinioni o approcci differenti, anche in contrasto), la risposta unificata tende a fornire una versione unica “digerita” dall’AI.
Ciò è particolarmente critico su temi controversi o soggettivi (es. questioni politiche, sanitarie, ecc.), dove il modo in cui viene posta la domanda all’AI potrebbe influenzare pesantemente la risposta, senza che l’utente esplori fonti alternative.
Si rischia insomma un’esperienza meno esplorativa e personalizzata, più “preconfezionata e filtrata algoritmicamente”, come notato nell’articolo in analisi. La navigazione libera – con i suoi percorsi a volte casuali che portano a scoperte inaspettate – viene sostituita da risposte su misura ma uniformi per ciascuno.
Errori e “allucinazioni” dell’AI
Non va dimenticato il noto problema delle hallucinations, cioè quando il modello generativo inventa fatti o sbaglia con eccessiva sicurezza. Google stessa ammette che le sue AI non sono infallibili.
Nei primi test le AI Overviews incassarono qualche figuraccia pubblica (divennero virali screenshot in cui l’IA di Google suggeriva di usare colla non tossica per far aderire la mozzarella sulla pizza, o dichiarava che geologi consigliano agli umani di mangiare una roccia al giorno).
Sundar Pichai, CEO di Google, in un podcast ha ammesso che “le allucinazioni sono una caratteristica intrinseca” di questi modelli.
Nonostante i miglioramenti (Google afferma di aver ridotto drasticamente gli errori grossolani), casi di risposte inesatte continuano a presentarsi – ad esempio nel 2025 un utente notava che l’AI di Google sbagliava persino a riconoscere la data odierna e il giorno della settimana.
Affidarsi ciecamente alle risposte AI è dunque rischioso, specialmente per query critiche: Google ora mostra avvisi e incoraggia gli utenti a verificare le fonti citate se la risposta riguarda temi sensibili o di alto impatto.
Dal punto di vista delle aziende, queste inesattezze possono diventare un grattacapo reputazionale: immaginate un’AI Mode che sintetizza male una guida dal vostro sito, fornendo un consiglio sbagliato attribuibile (tramite fonte citata) alla vostra pagina – la colpa ricadrebbe sull’IA o sul vostro brand? La gestione dell’accuratezza e il rischio di misinformazione è quindi un altro fronte di cautela.
Privacy e personalizzazione spinta
AI Mode non si limita a leggere il web pubblico, ma (se l’utente acconsente) può incrociare dati personali per contestualizzare le risposte. Google ha indicato che presto l’AI potrà attingere, ad esempio, alle informazioni dal nostro Gmail, calendario e cronologia ricerche per fornire suggerimenti personalizzati (es: ristoranti nelle città che visiteremo, eventi vicino al nostro hotel, ecc.).
Sebbene queste integrazioni siano opt-in e sotto controllo dell’utente, sollevano comprensibili timori di privacy. Alcuni utenti si sono detti poco a loro agio con un motore di ricerca che “sa troppo” delle proprie attività personali e “monitora” altre app per anticipare bisogni.
Per i business locali o i servizi, la personalizzazione potrebbe significare che Google privilegerà risultati già noti all’utente (ad esempio, i ristoranti dove ha prenotato in passato) a scapito di altri – un vantaggio per chi è già nel “giro” dell’utente, ma una barriera all’acquisizione di nuovi clienti attraverso la ricerca organica.
Dipendenza da Google e controllo sull’informazione
In ultimo, vi è una considerazione più strategica e sociale. Con AI Mode, Google accentra ancora di più il ruolo di arbitro dell’informazione online.
L’utente medio potrebbe non avere più bisogno di lasciare l’ecosistema Google: per informarsi, fare acquisti, comparare prodotti, ottenere consigli, tutto avviene tramite l’interfaccia di Big G.
Questo rafforza la dipendenza di utenti e aziende da Google, diminuendo il controllo diretto che editori e imprenditori hanno sulla relazione col pubblico. Inoltre, in uno scenario in cui la maggior parte del traffico web passa per risposte AI, diventa cruciale capire come l’AI sceglie quali fonti citare e quali no, quali informazioni includere e quali tralasciare.
È un algoritmo proprietario a mediare gran parte del sapere online – una posizione estremamente delicata che già attira l’attenzione di regolatori antitrust e legislatori (negli USA è in corso un importante processo antitrust contro Google proprio sul monopolio della ricerca).
Se la modalità AI dovesse aggravare la posizione dominante di Google (rendendo ancor più arduo per i competitor farsi spazio e per i siti ottenere visibilità senza passare per Google), non è escluso che in futuro si intervenga anche a livello normativo su questioni di equità, concorrenza e diritto dei contenuti (ad esempio obblighi di condivisione delle entrate con gli editori, simili a quelli discussi per Google News).
In sintesi, AI Mode presenta notevoli sfide: rischia di trasformare il web aperto in un “giardino recintato” dominato dall’AI, comprimendo i ricavi dei creator, riducendo la diversità di voci emergenti e ponendo nuovi problemi di accuratezza e trasparenza.
Come hanno provocatoriamente chiesto i commentatori del report BBC: ci attende un web alimentato da curiosità, creatività e comunità umane, oppure un web spogliato dalla IA, che ne riassume i contenuti, li appiattisce e ce li restituisce senza bisogno di cliccare?
La risposta dipenderà in parte da come reagiranno gli utenti stessi e tutti gli attori in gioco.
Opportunità e vantaggi: il rovescio della medaglia
Nonostante i rischi evidenziati, l’integrazione dell’AI nella ricerca offre anche opportunità significative e benefici potenziali – sia per gli utenti finali, sia (in modi nuovi) per le aziende e il web in generale. Ecco alcuni dei possibili lati positivi di AI Mode:
Esperienza utente più efficiente e approfondita:
Dal punto di vista dell’utente, AI Mode realizza in gran parte la promessa di un “answer engine” intelligente. Chi effettua ricerche complesse ottiene risposte più ricche e contestuali in un solo passaggio, risparmiando tempo.
Ad esempio, invece di dover aprire cinque link diversi e aggregare manualmente le informazioni, l’utente può porre una domanda articolata (anche con più condizioni) e ricevere un resoconto integrato e multi-sfaccettato.
Google cita il caso di un confronto tra metodi di preparazione del caffè: AI Mode con una singola query può generare una tabella comparativa con caratteristiche, attrezzatura necessaria, pro e contro di ogni metodo – qualcosa che prima avrebbe richiesto più ricerche e confronti.
Inoltre l’IA consente un’interazione più naturale: grazie al modello conversazionale, l’utente può fare follow-up (es: “approfondisci il punto X” oppure “mostrami solo i metodi adatti per l’ufficio”) ottenendo un livello di personalizzazione impossibile con la ricerca tradizionale.
Questa dinamicità rende la ricerca più simile a dialogare con un esperto umano, aumentando la soddisfazione – come indicano i dati di utilizzo crescenti riportati da Google (utenti più felici dei risultati e invogliati a fare più domande complesse).
In breve, l’utente medio “fatica” meno per trovare ciò che cerca e può esplorare argomenti complessi in modo guidato e interattivo.
Accesso semplificato alle potenzialità dell’AI
AI Mode abbassa anche le barriere all’adozione dell’AI generativa da parte del grande pubblico. Moltissime persone che non si erano avvicinate a strumenti come ChatGPT potranno beneficiare di funzioni simili senza uscire da Google. Basta digitare (o dire, o fotografare) una domanda su Google per ottenere funzionalità che altrimenti avrebbero richiesto l’uso di chatbot o applicazioni dedicate.
Questo significa democratizzare l’accesso all’AI: utenti non tecnici, che magari ignorano cosa sia un LLM, inizieranno a usarlo inconsapevolmente via Google. Per Google, ciò rafforza la fidelizzazione (evitando la fuga verso piattaforme concorrenti di Q&A), ma per il web significa anche abituare più persone a porre domande complesse online. Invece di limitarsi a keyword semplici, gli utenti formulano interrogativi articolati (search becomes conversation).
Ciò potrebbe far emergere nuovi insight: domande di nicchia o accostamenti di temi che i tradizionali risultati non avrebbero servito bene, ora trovano risposta. Dunque l’ampiezza di conoscenza accessibile per l’utente si espande. Leo Gebbie, analista di CCS Insight, nota che per l’utente finale “significa meno tempo passato a sfogliare pagine web, e più tempo trascorso a dialogare con gli strumenti AI di Google”.
In altre parole, si riduce la parte “noiosa” della ricerca (setacciare decine di risultati irrilevanti) a vantaggio di interazioni più utili e focalizzate.
Scoperta di contenuti più ampia e diversificata
Un effetto interessante di AI Mode – paradossalmente – potrebbe essere una maggiore visibilità per siti che prima faticavano ad emergere. Poiché l’IA non si limita ai primi tre risultati, ma esplora a fondo con query multiple, può pescare informazioni anche da pagine meno blasonate o oltre la prima pagina tradizionale. È stato osservato, ad esempio, che AI Mode a volte cita fonti “insolite” o di page 2 per completare la risposta, e che rifacendo la stessa domanda più volte appaiono fonti differenti (il sistema attinge da un bacino largo e dinamico).
Questo significa che siti specializzati di alta qualità, sebbene non campioni di SEO tradizionale, potrebbero trovare spazio nelle risposte AI, raggiungendo utenti che prima non li avrebbero mai scoperti. Google afferma che l’AI Mode “permette di scoprire ancora più di ciò che il web ha da offrire” grazie alla sua capacità di andare oltre i risultati in cima.
In aggiunta, la caratteristica Deep Search annunciata da Google promette la generazione di report completi e interamente citati per domande che richiedono ricerche molto approfondite.
Questo potrebbe portare traffico (sotto forma di citazione) verso un ventaglio ancora più esteso di siti, includendo magari contenuti di nicchia o di archivio che raramente comparivano in ricerche superficiali. In sintesi, l’ecosistema web nel suo complesso potrebbe beneficiare di una distribuzione delle visualizzazioni meno concentrata sui soliti noti e un po’ più “democratica” – almeno in termini di impressioni (resta il tema cruciale dei clic, come visto).
Pichai ha dichiarato: “Abbiamo notato che la varietà di destinazioni verso cui mandiamo gli utenti sta aumentando [con l’AI]. Mi aspetto che lo stesso accadrà con AI Mode”, sostenendo dunque che l’AI in realtà allarga l’audience per i publisher (anche se non è detto che porti traffico consistente a ciascuno).
Qualità dei clic e conversioni
Dal punto di vista delle aziende, se è vero che il numero totale di visite organiche potrebbe calare, c’è anche il risvolto che i pochi clic che arrivano dall’AI Mode siano altamente qualificati. Analisi preliminari indicano che l’AI tende a soddisfare le ricerche informative superficiali (quelle dei “curiosi occasionali” che magari cercavano solo un dato rapido), filtrando invece utenti che hanno un reale bisogno di approfondire o compiere un’azione.
Ad esempio, un utente in modalità acquisto che cerca un servizio/prodotto specifico probabilmente non si accontenterà di una risposta generica dell’AI e cliccherà sul sito dell’azienda per maggiori dettagli o per convertire.
In questo senso, AI Mode “intercetta” soprattutto le query a bassa intenzione commerciale, mentre chi ha intent più forte finisce comunque per visitare il sito rilevante. Un’agenzia britannica ha osservato: “I clic forse calano, ma principalmente sono quelli di bassa qualità a essere intercettati da AI Mode… gli utenti che cercano davvero un servizio non si accontentano e cercano attivamente il sito dell’azienda”.
I clic che continuano ad avvenire, quindi, potrebbero convertire meglio (tasso di conversione più alto). Alcuni marketer hanno suggerito di monitorare proprio questo: se il traffico organico diminuisce ma i lead o le vendite non calano in modo proporzionale, significa che AI Mode ha “filtrato” i visitatori meno rilevanti, lasciando arrivare sul sito quelli più motivati. In pratica, meno volume ma più qualità. Ad esempio, in ambito content publishing, un utente che dopo aver letto il riassunto AI clicca comunque sul link probabilmente è davvero interessato in profondità (forse vuole leggere l’intero articolo, esplorare altri contenuti del sito, etc.). Questo trend – se confermato dai dati – potrebbe spingere i marketer a misurare il successo non solo in termini di traffico lordo, ma di engagement e conversioni per visita.
È un cambio di mentalità: dall’ossessione per il click-through rate alla focalizzazione sul valore del traffico che effettivamente arriva (Google stesso ha recentemente suggerito di non “focalizzarsi troppo sui clic” ma sulla qualità complessiva delle visite da Search).
Nuove soluzioni per monetizzare i contenuti
La comunità web non sta passivamente a guardare. Stanno emergendo strategie e accordi per adattarsi all’era degli LLM. Un’opzione è che i grandi produttori di contenuti stringano partnership di licenza con chi sviluppa le AI.
Ad esempio, nel 2023-2024, OpenAI, Microsoft, Google e Amazon hanno avviato trattative con gruppi editoriali per utilizzare legalmente (e pagando) i loro contenuti nei set di addestramento o nelle risposte delle AI. Uno dei casi più noti è l’accordo Amazon – New York Times del maggio 2023: circa 60 milioni di dollari l’anno versati dal colosso tech al giornale per poter utilizzare i suoi articoli nelle intelligenze artificiali.
Allo stesso modo OpenAI e Anthropic hanno siglato intese con alcuni editori, e Google stessa – secondo un report – pagherebbe Reddit circa $60 milioni/anno per accesso ai dati dei thread pubblici.
Questi accordi sono per ora limitati a pochi grandi attori con forte potere negoziale. Tuttavia indicano una possibile futura economia dei contenuti data-driven: le IA potrebbero diventare clienti dei publisher, pagando per rifornirsi di informazione affidabile.
Ciò garantirebbe entrate agli editori anche senza traffico diretto. Il problema è la scalabilità: Tom Critchlow, dirigente di Raptive, ha affermato “Non credo che pagare i contenuti in questo modo sia fattibile alla scala necessaria a sostenere il web”, riferendosi al fatto che milioni di siti medio-piccoli resterebbero esclusi da tali contratti. Si discute dunque di soluzioni più aperte, come sistemi di micro-ricompense automatici (c’è chi cita tecnologie blockchain o simili) che riconoscano in maniera distribuita una frazione di valore a tutti i siti citati/utilizzati dalle AI.
Siamo ancora nel campo delle ipotesi, ma l’interesse a “mantenere in vita il World Wide Web, anche in versione machine web, è nell’interesse di tutti – perfino delle intelligenze artificiali” come chiosava ironicamente l’articolo di Wired. In prospettiva, la pressione potrebbe spingere verso un web più “data-driven” ma anche più remunerativo per chi fornisce dati: i siti con contenuti molto richiesti dalle AI potrebbero un domani essere ricompensati (direttamente o indirettamente) per questo contributo.
Innovazione nei servizi e nel marketing
L’arrivo di AI Mode costringe aziende e marketer a innovare le proprie strategie, il che può essere visto come un lato positivo in termini di evoluzione del settore.
Ad esempio, Google sta introducendo nuove funzionalità avanzate: la modalità “Shopping AI” consente ricerche di prodotti con dialogo interattivo, utilizza il suo enorme Shopping Graph e persino funzioni di realtà aumentata (provare vestiti virtualmente caricando una foto).
Quando l’utente ha deciso l’acquisto, entra in gioco un “agentic checkout” – un agente che può procedere all’acquisto per conto dell’utente tramite Google Pay, monitorando il prezzo e completando la transazione al momento giusto. Per un e-commerce, integrare queste capacità significa potenzialmente ridurre gli attriti di conversione (un’AI può concludere la vendita in un click se il catalogo è ben indicizzato su Google).
Chi saprà collaborare con l’AI (fornendo feed di prodotto aggiornati, adottando protocolli di checkout con Google, ecc.) potrebbe incrementare le vendite anche senza vedere traffico tradizionale sul sito. In ambito travel, se AI Mode omette i consueti box di Google Flights o Hotels per fornire direttamente risultati conversazionali, le agenzie di viaggio online potrebbero riguadagnare visibilità organica.
In generale, questa transizione spinge le aziende di marketing a sviluppare competenze nuove: SEO per l’AI, analisi delle citazioni nelle risposte AI, ottimizzazione dei dati strutturati affinché l’AI estragga correttamente le info (ad esempio fornire schemi markup che l’AI può leggere per generare tabelle o grafici personalizzati).
Si tratta di un cambio di paradigma che apre spazi a servizi e tool innovativi (alcune startup stanno già offrendo strumenti per tracciare la visibilità all’interno delle risposte AI, o per simulare il funzionamento dei motori AI in modo da ottimizzare i contenuti).
Chi opera nel marketing digitale avrà l’opportunità di differenziarsi abbracciando per primo queste pratiche – trasformando una minaccia (fine del SEO tradizionale) in una nuova specializzazione (AI Search Optimization).
In sintesi, AI Mode non è necessariamente la “fine del web”, ma piuttosto un’evoluzione che porterà cambiamenti profondi. Come in ogni trasformazione, ci saranno vincitori e vinti: gli utenti finali sembrano trarne comodità e un’esperienza più potente; i business e i creatori di contenuti dovranno adattarsi, ma potranno trovare nuove vie per mantenere la loro rilevanza.
Il web stesso potrebbe ridisegnarsi, magari sacrificando parte della sua anarchica libertà in cambio di un maggiore ordine e integrazione. La chiave sarà capire come capitalizzare sulle opportunità (in termini di efficienza, nuovi canali e modelli) mitigando al contempo i rischi per l’ecosistema informativo.
Impatti su settori specifici: SEO, editoria, e-commerce, business locali e advertising
L’avvento di Google AI Mode tocca diversi attori dell’economia digitale in modo diverso. Esaminiamo le implicazioni e le strategie emergenti per alcune categorie chiave: dai professionisti SEO e content publisher, ai negozi online e retailer, fino ai business locali e agli inserzionisti pubblicitari.
Impatto su SEO e content publishing
Per SEO specialist, agenzie e creatori di contenuti, AI Mode rappresenta il cambiamento più disruptive dell’ultimo decennio. I tradizionali obiettivi del SEO (scalare la SERP fino alla posizione #1, ottenere lo snippet in evidenza, generare CTR) perdono efficacia in un mondo in cui la prima cosa che l’utente vede è una risposta AI aggregata.
Tuttavia, SEO non è “morta” – piuttosto si sta evolvendo. Google ha chiarito che i meccanismi di selezione delle fonti per AI Overviews e AI Mode attingono ancora dai segnali del suo indice organico e di qualità: “Il modo in cui Google indicizza i contenuti per la ricerca tradizionale è lo stesso con cui alimenta AI Overviews e AI Mode”.
In pratica, continuare a fare ottimizzazione classica rimane importante: un sito autorevole, ben posizionato e tecnicamente solido ha molte più probabilità di essere citato dall’AI nelle sue risposte.
Ciò detto, cambia l’enfasi: non basta più “farsi trovare”, occorre “farsi capire e usare” dall’AI. I consigli che emergono dagli esperti includono:
- Focalizzarsi sulla qualità e l’utilità del contenuto: Google (già con gli update tipo Helpful Content) premia i contenuti people-first, approfonditi e affidabili. Nell’era AI questo diventa ancora più cruciale, perché l’algoritmo estrarrà spezzoni dai nostri testi: se il contenuto è superficiale o ridondante, verrà scartato. Lily Ray sottolinea l’importanza di esperti reali e autorevolezza: le pagine devono dimostrare competenza sull’argomento per essere scelte come fonti. Sì quindi a contenuti originali, ben ricercati, con valore aggiunto reale (analisi, dati, insight). Pratiche obsolete come keyword stuffing o pagine doorway perdono ancora più senso: “bisogna puntare su contenuti di alta qualità e strutturati, non sul riempire le pagine di parole chiave”.
- Strutturare i contenuti per l’AI: L’utilizzo di markup strutturato (schema.org) e formattazione chiara (sezioni, liste, tabelle) aiuta l’AI a estrarre informazioni corrette. Ad esempio, includere tabelle comparativa nel proprio articolo potrebbe far sì che l’AI le riproduca (citandoci). L’AI spesso evidenzia parti testuali rilevanti quando un utente clicca su una fonte, il che significa che quote ben scritte nelle nostre pagine possono diventare snippet citati. Inserire FAQ, definizioni, numeri chiave con etichette semantiche migliora la “leggibilità” per il modello. Anche ottenere menzioni e link da siti autorevoli resta importante: Google sembra considerare l’ecosistema di link per valutare quali fonti supportano un’affermazione. In pratica, l’AI mode è un ulteriore incentivo a fare un buon lavoro di content semantico.
- Misurare la visibilità in modo alternativo: Poiché i clic e le posizioni perdono significato, i SEO stanno cercando nuove metriche. Una è il monitoraggio delle citazioni in AI Mode. Strumenti sperimentali (e.g. Goodwriter, SEO tools emergenti) tentano di stimare quanto spesso un brand o sito venga incluso nelle risposte AI per certe query. Google Search Console attualmente non separa ancora chiaramente il traffico da AI Overviews/Mode (un bug iniziale faceva sì che i clic da AI Mode non apparissero affatto, cosa definita da Lily Ray “Not Provided 2.0” in quanto Google sembrava intenzionalmente nascondere i dati, problema poi corretto da Google a fine maggio 2025). In futuro, ci si aspetta che GSC dia indicazioni più granulari. Nel frattempo, i SEO possono analizzare le impression: se vedono salire le impression su Google senza corrispondente aumento di clic, potrebbe essere un segnale che il sito viene mostrato come fonte AI (come accaduto a HouseFresh con +49% impression e -30% clic). I SEO dovranno quindi adattare le loro reportistiche e spiegare ai clienti che essere presenti nell’AI (magari col logo/miniatura vicino alla citazione) ha un valore di branding anche se non genera click immediati.
- Nuove tattiche di engagement: Se l’utente legge il succo sul motore di ricerca, quando poi arriva sul nostro sito è essenziale massimizzare l’engagement e la conversione. In altre parole, occorre estrarre più valore da meno visite. Questo significa ottimizzare UX, velocità, avere call-to-action chiare, proposte di iscrizione, contenuti esclusivi che spingano l’utente a restare. Inoltre, alcuni publisher stanno valutando di proteggere i contenuti più preziosi: ad esempio mettendo behind paywall analisi originali, tool interattivi, o offrendo esperienze che l’AI non può replicare (es: community di discussione, webinar live, newsletter personalizzate). L’obiettivo è fare in modo che, anche se per le informazioni base basti Google, il proprio sito diventi destinazione per approfondimenti premium e per un pubblico fidelizzato.
In definitiva, per i professionisti SEO e i content marketer la parola chiave è “adattarsi”: chi integrerà l’AI nel proprio modo di pensare (anziché combatterla frontalmente) potrà ancora prosperare. L’arte sarà farsi scegliere dalle AI e parallelamente coltivare il valore oltre il clic.
Si passa da un gioco di puro volume (più traffico possibile) a un gioco di visibilità e influenza: il contenuto deve raggiungere l’utente in qualunque forma, anche tramite un assistente AI. Come sintetizza un’analisi, “il playbook della search organica sta virando verso un focus sulla visibilità” più che sul click, e le aziende dovranno ottimizzare di conseguenza.
Impatto su e-commerce e retail online
Il settore e-commerce vive con particolare attenzione l’evoluzione di Google Search in chiave AI. Google è da anni un attore cruciale nel funnel d’acquisto online – non solo tramite risultati organici, ma con Google Shopping, annunci prodotto (PLA) e comparatori di prezzo.
AI Mode ridisegna anche questo panorama:
- Ricerche di prodotto conversazionali: Con AI Mode, un utente può chiedere ad esempio “Qual è il miglior laptop sotto i 1000€ per fare grafica?” e ottenere una risposta discorsiva che menziona 2-3 modelli con relative caratteristiche, pro/contro, magari estratte da recensioni. Questo tipo di query, prima, portava l’utente a leggere blog di settore o thread di forum/Reddit. Ora l’AI potrebbe attingere a quelle fonti e fornire direttamente un mini-consulente di vendita. Per i siti comparativi e i blog affiliate, è una concorrenza diretta (meno traffico verso “Migliori X del 2025”). Per i brand e retailer, invece, c’è opportunità: se il proprio prodotto viene citato positivamente nella risposta AI, ottiene visibilità immediata. Dati iniziali suggeriscono che l’AI tenda a citare soprattutto brand noti e affidabili per query commerciali (es. BestBuy e altri grandi retailer USA emergono spesso nelle risposte per prodotti tech). Quindi i marchi con buona reputazione online potrebbero rafforzare la propria presenza nelle considerazioni di acquisto dell’utente prima ancora che questi clicchi su un sito.
- Integrazione con Google Shopping Graph: Google sta fondendo AI Mode con il suo ecosistema Shopping. Il grafo dei prodotti di Google (che raccoglie schede di milioni di articoli, recensioni, informazioni di magazzino, prezzi in tempo reale) alimenterà le risposte AI sulle query di shopping. Ciò significa che avere i propri prodotti ben indicizzati su Google (tramite Merchant Center, feed aggiornati, recensioni verificate) sarà ancora più importante. Un prodotto senza dati strutturati o senza recensioni potrebbe non essere menzionato dall’AI se esistono alternative simili più documentate. Viceversa, chi investe in feed di qualità e SEO per Shopping aumenterà le chance che l’AI consigli i suoi prodotti nelle risposte comparative. Ad esempio, se la query AI chiede “miglior frullatore per smoothie”, e la nostra scheda prodotto contiene uno schema con tutte le specifiche e valutazione 4.8 stelle, l’AI potrebbe includerlo come raccomandazione.
- Checkout mediato da AI: La novità più radicale annunciata è l’Agentic AI Checkout. In futuro, l’utente potrà delegare all’AI l’acquisto: “trovami 2 biglietti economici per il concerto X sabato prossimo e comprali al miglior prezzo”. Google AI avvierà ricerche su vari siti di ticketing, confronterà i prezzi, e potrà persino completare l’acquisto usando i dati di pagamento salvati su Google Pay, il tutto “sempre con la tua supervisione”. Per un e-commerce questo può essere dirompente: il cliente diventa l’AI, che naviga il sito al posto suo. In pratica, il sito diventa back-end mentre l’esperienza front-end è su Google. Ciò potrebbe ridurre l’importanza di elementi come il design del sito, il copy persuasivo, ecc., perché l’AI prenderà decisioni in base a parametri oggettivi (prezzo, disponibilità, caratteristiche) più che sull’estetica o branding. D’altro canto, se un merchant non rende facile all’AI “capire” come acquistare (ad esempio, se non permette l’integrazione con API di pagamento o ha flussi di checkout complessi), rischia di essere saltato. Questo spingerà a semplificare i processi di e-commerce e magari aderire a sistemi standardizzati (Google potrebbe favorire siti con Buy on Google integrato, ad esempio). Un vantaggio per i retailer è che l’AI potrebbe mitigare l’abbandono del carrello: se configurata per cercare il momento ottimale (ad esempio aspettare uno sconto o notifica di riassortimento), potrebbe completare l’acquisto autonomamente quando le condizioni sono ideali, incrementando le conversioni.
- Strategie di branding e fedeltà: Se le AI rispondono alle query prodotto fornendo risultati “neutri”, i brand perderanno un po’ di controllo sul funnel. Diventerà cruciale investire in brand awareness fuori dalla search generica. Un utente che formula una query specificando un brand (“iPhone vs Samsung”) dà un segnale forte che vuole quell’alternativa; se invece chiede in generale “miglior smartphone sotto X€”, affida all’AI la scelta. Per assicurarsi di rientrare nel ventaglio di opzioni, le aziende dovranno avere prodotti competitivi ma anche un forte brand che magari l’utente menziona di suo (domanda navigazionale) o che l’AI riconosce come autorevole. Questo probabilmente spingerà i marketer a lavorare più a monte, su social, community e passaparola, per generare preferenza di marca prima che la domanda arrivi su Google. In parallelo, potrebbe crescere l’importanza di partnership a monte: es. accordi tra brand e Google per schede informative arricchite (sul modello “verified brand” o contenuti sponsorizzati all’interno delle risposte AI).
In conclusione, per l’e-commerce AI Mode comporta nuovi canali di visibilità e vendita, ma richiede prontezza nel fornire dati strutturati, nel supportare l’agente AI come “super-consumatore” e nel mantenere forte la propria brand identity in un contesto dove le scelte le fa un algoritmo conversazionale.
Impatto su business locali e lead generation
I business locali (come ristoranti, negozi, professionisti sul territorio) e chi fa lead generation online (es. servizi B2B che raccolgono contatti) hanno dinamiche leggermente diverse ma condividono l’esigenza di farsi trovare da potenziali clienti tramite la ricerca.
AI Mode avrà effetti anche qui:
- Risposte local personalizzate: Google già fornisce risultati locali (mappe, Google My Business) in base alla posizione dell’utente. Con l’AI, questa tendenza si accentua. Google ha mostrato come AI Mode potrà incrociare dati personali (come prenotazioni da Gmail) per suggerire, ad esempio, “ristoranti con tavoli all’aperto in zona X, simili a quelli dove hai già mangiato”. Dunque, un ristorante o negozio locale potrebbe comparire nell’elenco AI solo se in linea con le preferenze pregresse dell’utente o comodo rispetto alle sue tappe pianificate. Questo significa che le recensioni e le informazioni su Google Business Profile (ex Google My Business) restano vitali: l’AI le userà per capire quali locali matchano i criteri (es: “all’aperto”, “adatto ai bambini”, ecc.). Chi gestisce attività locali deve quindi ottimizzare la propria presenza su Google: foto, descrizioni accurate, listino, rispondere alle recensioni, mantenere alto il rating. Inoltre, in futuro l’AI potrebbe eseguire azioni come “Prenota un tavolo per 4 alle 20:00” se l’utente lo chiede: avere attiva la funzionalità di prenotazione online integrata a Google (Reserve with Google) potrebbe fare la differenza tra essere scelti o scartati dall’agente.
- Minore visibilità per i siti web locali: Attualmente molti piccoli business locali ottengono traffico dal proprio sito tramite ricerche organiche (“idraulico a Milano”, “miglior parrucchiere in zona Navigli” ecc.). AI Mode potrebbe rispondere a queste query elencando direttamente 2-3 opzioni con contatto e orari (magari pescati da Google Maps), riducendo i clic sui siti. Se un utente chiede “Quali sono i migliori b&b in centro a Firenze?”, l’AI potrebbe elencare nomi e sintesi di 3 strutture con link a prenotare, e l’utente potrebbe non visitare i loro siti ufficiali. Ciò rende ancor più cruciale la gestione delle piattaforme Google (Maps, Travel, ecc.) perché fungono da “sito sostitutivo”. I business dovranno assicurarsi che su Google ci sia tutto: numero di telefono, menu, listino servizi, FAQ principali. Il sito web proprio rischia di diventare secondario come fonte diretta dal search; servirà più come strumento di conversione una volta che l’utente ci arriva convinto.
- Lead generation e servizi professionali: Per servizi non localizzati (es. software B2B, consulenze) la ricerca generativa può rispondere a domande come “Qual è il miglior CRM per piccole imprese?” elencando magari 3 software con pro/contro. Questo colpisce il modello classico di inbound marketing dove un utente leggeva blog post comparativi e poi magari scaricava un whitepaper lasciando i contatti. Ora quel blog post potrebbe essere distillato dall’AI senza che l’utente ci capiti. Le aziende B2B dovranno puntare su contenuti di thought leadership più approfonditi (che l’AI non può interamente condensare) e soprattutto su costruire community e newsletter per raggiungere i prospect direttamente. Se il lead non arriva più tramite la SEO tradizionale, bisognerà investire di più in content distribuito (webinar, video, podcast, social) per farsi conoscere e far sì che il prospect cerchi direttamente il brand (query navigazionale) o visiti il sito senza passare da Google.
- Minor impatto su alcune query locali: È possibile che per certe ricerche locali l’AI Mode non offra alcun vantaggio e Google continui a mostrare la “Local Pack” tradizionale (mappa + 3 risultati). Infatti, alcuni utenti hanno notato che in molti casi la ricerca locale non attiva SGE/AI, probabilmente perché un elenco statico su mappa è più immediato. Questo significa che l’ottimizzazione locale classica (Local SEO) rimane rilevante: categorie corrette, NAP (Name, Address, Phone) consistente ovunque, e raccolta di recensioni. Finché Google manterrà la visibilità della mappa, apparire tra i primi risultati locali è fondamentale. In futuro, l’AI Mode potrebbe integrarsi con la mappa (es. fornendo la risposta conversazionale e una mini-mappa contestuale). Essere tra quei 3 su mappa sarà sempre un obiettivo per il local marketing.
In sintesi, per le imprese locali e di servizi l’AI Mode richiede ancor di più un approccio “onestamente multi-canale” sulla piattaforma Google: sito web ben fatto ma anche uso pieno di tutti gli strumenti Google My Business, schede prodotto/servizi locali, annunci Local Service Ads se opportuno. E, come per altri, cercare di fidelizzare il cliente oltre Google: spingerlo a usare app proprietarie, iscriversi a mailing list o programmi fedeltà, in modo da non dover passare ogni volta dal “filtro” dell’AI per ritrovarvi.
Impatto su inserzionisti e search marketing (Google Ads)
Un grande interrogativo aperto è: che ne sarà della pubblicità su Google in questo nuovo paradigma? La ricerca tradizionale conviveva con gli annunci sponsorizzati (Google Ads) in cima e in coda alla pagina. Se gli utenti cliccano meno link, potenzialmente cliccano meno anche sugli annunci, mettendo a rischio il core business di Google (che ricava la maggior parte dei suoi $ da Search Ads). Google ovviamente è cosciente di ciò e sta già sperimentando formati pubblicitari dentro l’esperienza AI.
- Annunci integrati nelle risposte AI: Già a metà 2023 Google ha iniziato a testare inserimenti sponsorizzati all’interno delle AI Overviews, specialmente per query di shopping. Ad esempio, per “miglior smartphone sotto $500” l’overview AI poteva includere un riquadro “Sponsored” con un prodotto di un inserzionista. Possiamo aspettarci che in AI Mode questo diventi prassi: l’AI potrebbe consigliare un prodotto/servizio sponsorizzato come parte della risposta, mantenendo una veste nativa. Google dovrà essere trasparente nel marcarli come annunci, ma l’utente li vedrà all’interno della conversazione, non separati in cima alla pagina. Ciò offre agli inserzionisti nuove opportunità, ma richiederà di adattare le strategie. Ad esempio, potrebbe contare di più fornire feed ricchi di informazioni per far sì che l’AI presenti bene l’offerta (immagine, prezzo, rating) e fare offerte su categorie più che su keyword esatte. È un po’ come passare da pubblicare un annuncio testuale a fornire all’AI i mattoni per costruire una raccomandazione sponsorizzata.
- Performance e budget advertising: Nel breve termine, se molta parte del traffico organico diventa zero-click, alcune aziende potrebbero spostare budget per compensare via Ads, almeno per query critiche. Tuttavia, anche gli Ads dovranno evolversi: se AI Mode diventasse la modalità di default, la classica lista di link sponsorizzati potrebbe essere sostituita da risultati sponsorizzati dentro la risposta. L’inserzionista potrebbe pagare per essere citato dall’AI come “una delle opzioni”, magari pagando a conversione se l’utente chiede all’AI di comprare direttamente. Cory Johnson di Epistrophy Capital osserva: “Google sta diventando più efficiente nel rispondere alle domande, ma meno efficiente nel generare clic – e i clic sono come viene pagata”. Questo evidenzia che Google dovrà rivedere il modello di monetizzazione. Potremmo vedere modelli CPC ibridi (costo per chat) o CPA (costo per azione completata via AI). Per i marketer PPC sarà cruciale stare al passo: come misurare le conversioni se avvengono dentro Google? Google con ogni probabilità fornirà nuovi dati di conversione (ad esempio “assistito dall’AI Mode”).
- Concorrenti e costo del traffico: Se SEO organica diventa meno affidabile per portare volumi, la concorrenza su altri canali (SEA, social ads, etc.) potrebbe intensificarsi. Il costo per clic su Google Ads potrebbe aumentare su quelle poche posizioni sponsorizzate integrate che restano. Oppure, al contrario, se molti utenti non scorrono nemmeno oltre la risposta AI, potrebbe calare il valore di apparire come link sponsorizzato tradizionale. Difficile prevedere, ma certamente i marketer dovranno essere flessibili con l’allocazione budget. Anche altri motori (es. Bing con la sua AI o emergenti motori specializzati) potrebbero diventare più attraenti per campagne mirate, se Google AI Mode rende complicato spiccare.
- Protezione dei propri asset: Dal lato degli editori digitali che vivono di pubblicità (es. riviste online), meno traffico significa meno impression vendibili. Questo potrebbe spingerli a cercare accordi pubblicitari diretti con piattaforme (ad esempio fornire contenuti in licenza a Google in cambio di revenue sharing sugli annunci mostrati nelle risposte AI che usano quei contenuti). Non è fantascienza: YouTube già divide revenue con i creatori, chissà che in futuro Google Search non faccia qualcosa di analogo con i publisher i cui contenuti sono frequentemente usati dall’AI (ad esempio un meccanismo che riconosce all’editore un micro-pagamento per ogni 1000 query in cui è stato citato). Per ora non esistono tali programmi, ma la pressione perché “se Google guadagna con i nostri contenuti, ci dia una fetta” aumenterà.
In conclusione, per i professionisti del search marketing a pagamento, AI Mode è sia una minaccia all’equilibrio attuale sia un terreno fertile per nuove forme di advertising.
Dovranno monitorare da vicino l’evoluzione: Google potrebbe presto offrire spazi “Conversational Ads” o posizionamenti sponsorizzati ad hoc dentro l’AI.
Sarà fondamentale sperimentare con questi formati e adattare creatività e targeting a un contesto dove l’annuncio deve aggiungere valore alla risposta (quasi confondersi con essa) per essere efficace.
La buona notizia è che “il search è ancora alla base dell’AI” – come ha notato un commentatore, l’AI generativa per rispondere ha comunque bisogno di informazioni provenienti dalla ricerca tradizionale.
E finché ricerca e AI saranno intrecciati, il ruolo del search marketer rimane centrale, anche se gli strumenti e i KPI cambieranno.
Scenari futuri
L’avvento di Google AI Mode segna un punto di svolta. Abbiamo di fronte alcuni scenari possibili per il futuro della ricerca e del web:
- AI Mode come nuovo standard: È plausibile che Google, visti i risultati positivi in termini di adozione, imposti AI Mode come esperienza di default per la maggior parte delle ricerche entro i prossimi 1-2 anni. In tal caso, il modello tradizionale di SEO e traffico organico subirà un ridimensionamento permanente. I siti dovranno abituarsi a essere consumati in gran parte tramite intermediari AI. Questo scenario “irreversibile” richiederà nuovi equilibri economici: senza interventi, il rischio è la già citata desertificazione dei contenuti. Ma il mercato si adatterà: potremmo vedere una consolidazione dove solo i player più forti producono contenuti informativi (pagati dalle piattaforme), mentre i piccoli trovano nicchie o formati alternativi (ad esempio passare a TikTok/YouTube dove almeno hanno controllo diretto di reach e monetizzazione). Il web come lo conosciamo potrebbe diventare una sorta di back-end invisibile, consultato dalle AI. Non necessariamente scomparirà, ma cambierà funzione.
- Reazione degli utenti e importanza dell’esperienza: Non è garantito che tutti gli utenti accolgano passivamente il cambiamento. Alcuni “power user” hanno già espresso insoddisfazione: ad esempio c’è chi su Reddit lamentava che SGE intralciava ricerche di precisione – “Google sta mettendo i suoi consigli lenti e invasivi tra me e quello che voglio… Io spesso so già quale sito voglio aprire, SGE mi fa solo perdere tempo”. Se molti utenti esperti la penseranno così, Google potrebbe mantenere sempre accessibile una modalità classica o migliorare AI Mode per renderla meno invadente quando non serve. In parallelo, concorrenti come Bing, Perplexity o futuri motori verticali potrebbero attrarre nicchie di utenti insoddisfatti dall’approccio “monolitico” di Google. Dunque uno scenario alternativo è un web search più frammentato: Google AI per la massa, e piccole oasi (motori specializzati, ricerca su siti specifici come Reddit/StackOverflow, ecc.) per esigenze particolari. In questo scenario, i marketer dovranno diversificare le fonti di traffico e non dipendere esclusivamente da Google.
- Interventi regolatori e modelli di compensazione: Come discusso, la questione della sostenibilità dell’open web potrebbe attirare attenzioni legislative. Già l’UE con il Digital Markets Act guarda a come i gatekeeper gestiscono i contenuti di terzi. Potremmo vedere iniziative per imporre a Google accordi equi con gli editori (sulla scia di quanto fatto in Australia per Google News). Oppure nasceranno coalizioni di publisher che contrattano collettivamente con le aziende AI. Cory Doctorow, celebre attivista internet, invita proprio a “non sprecare questa crisi, ma usarla per lottare per un web migliore”, segno che si sta formando consapevolezza. Se si trovasse un modello di revenue sharing efficace, il “machine web” distopico potrebbe trasformarsi in un ecosistema simbiotico, dove le AI attingono al contenuto e in cambio finanziano la sua produzione. Dopotutto, come ha detto Nick Fox di Google, “probabilmente nessuna azienda tiene alla salute futura del web più di Google”: un’affermazione discutibile, ma che riconosce che senza web ricco, anche l’AI di Google perde valore.
- Evoluzione tecnologica: Sul fronte tecnico, vedremo AI Mode diventare ancora più potente: con multimodalità avanzata (riconoscere e descrivere immagini, video), connessa a dati in tempo reale (meteo, eventi live), e con più capacità agentiche (fare sempre più azioni per conto dell’utente). Ciò potrebbe aprire opportunità oggi impensabili: ad esempio, l’AI potrebbe monitorare intere categorie di informazione per noi (es. “avvisami quando c’è un’opportunità di investimento interessante secondo questi criteri…” e agire). Per i business, questo significa che il focus andrà sempre più sul fornire dati strutturati e API per essere agganciati da questi agent. Chi vorrà essere presente dovrà “dialogare” col motore (tramite markup, feed, integrazioni). Una sorta di SEO programmatica.
In conclusione, siamo di fronte a una trasformazione epocale del rapporto tra motore di ricerca, utenti e contenuti.
Google AI Mode porta enormi benefici in termini di esperienza utente, ma allo stesso tempo obbliga l’intero ecosistema digitale a ripensare modelli di business e strategie di visibilità.
Per imprenditori digitali, CMO, specialisti SEO/SEM e marketer, la parola d’ordine deve essere preparazione ed evoluzione.
Chi comprenderà per tempo le dinamiche di AI Mode – adattando il content marketing, sfruttando i nuovi formati pubblicitari, enfatizzando la qualità e unicità dei propri contenuti/prodotti – potrà trovare spazio anche nel “nuovo” Google.
Chi invece rimarrà ancorato alle vecchie metriche rischia di vedere i propri numeri erodersi senza chiari motivi apparenti.
Il web ha già attraversato rivoluzioni (l’avvento del mobile, dei social, degli assistenti vocali). L’AI generativa nella ricerca è un’altra svolta, forse la più dirompente, ma non necessariamente la fine del gioco.
Come ogni white paper che si rispetti, non intendiamo dare risposte definitive ma offrire elementi per decisioni informate: i trend indicati dalle fonti sono chiari – calo dei clic organici fino al 50% o più, maggiore enfasi su contenuti di qualità, nuove forme di integrazione shopping e locale – e stanno già accadendo.
Sarà la capacità di innovare delle aziende e comunità del web a determinare se questa evoluzione porterà a un Internet appiattito e “popolato di sole macchine”, oppure a un Internet ancora vibrante dove umani e AI coesistono in equilibrio.
Il consiglio finale per chi fa business (anche) online non può essere che rimanere aggiornati e sperimentare. Provare AI Mode in prima persona, monitorare i propri dati di traffico e conversione alla ricerca di segnali di cambiamento, investire in asset proprietari (brand, community, newsletter) e contemporaneamente ottimizzare la propria presenza nei “contenitori” AI.
In un panorama in cui “nessuno clicca più”, il successo consisterà nel farsi scegliere – dall’AI e dagli utenti – come fonte di valore insostituibile.
Fonti:
- Google Keyword Blog – AI in Search: Going beyond information to intelligence (20 maggio 2025) blog.google
- Business Insider – “Google’s ‘AI Mode’ could be bad for Reddit” businessinsider.com
- Search Engine Land – “Google AI Mode traffic is untrackable” searchengineland.com
- StanVentures News – “Is Google’s AI Mode Reshaping or Ruining the Open Web: BBC Report” stanventures.com
- BBC News – “AI chatbot to be embedded in Google search” feeds.bbci.co.uk
- SEO Discovery Blog – “What is Google AI Mode & How it impacts SEO in 2025” seodiscovery.com
- TDMP Insights – “Google AI Mode: everything we know so far” tdmp.co.uk
- Reddit (discussioni su r/SEO, r/marketing) reddit.com e altri contributi community sulla search generativa.