Migrazione di un Sito Web in Ottica SEO: Tipologie e Best Practice

Migrare un sito web è un passaggio critico per la SEO: errori possono far perdere traffico, mentre una gestione corretta lo fa crescere. Scopri rischi, soluzioni e best practice — dal cambio dominio al passaggio HTTPS — in un articolo completo pensato per decision maker e manager.
migrazione seo del sito

La migrazione di un sito web consiste nel trasferimento o cambiamento significativo di un sito da una versione, dominio o struttura a un’altra, con l’obiettivo di mantenere o migliorare la sua visibilità sui motori di ricerca. Si tratta di un processo delicato: un errore può avere effetti drastici sul ranking organico e sul traffico del sito.

In altre parole, una migrazione non gestita correttamente rischia di causare forti cali di visibilità e posizionamenti, mentre una migrazione pianificata e condotta a regola d’arte può persino portare miglioramenti nel ranking e nel traffico. Per le aziende, ciò significa che una migrazione va affrontata con estrema attenzione, integrando competenze tecniche SEO per evitare di vanificare il patrimonio di posizionamento costruito nel tempo.

Esistono diverse tipologie di migrazione del sito, ciascuna con sfide e accorgimenti SEO specifici. Di seguito analizziamo i principali casi (migrazione di dominio, modifica della struttura URL, passaggio da HTTP a HTTPS e migrazione di piattaforma CMS), includendo anche altri scenari particolari, e successivamente delineiamo le best practice generali da seguire.

Migrazione di Dominio

La migrazione di dominio avviene quando si sposta un sito web su un nuovo nome di dominio (ad esempio da esempio.com a nuovodominio.com). Ciò può accadere per ragioni di rebranding, acquisizioni aziendali o per adottare un dominio più pertinente. Dal punto di vista SEO, è uno dei cambiamenti più impattanti, poiché i motori di ricerca devono indicizzare nuovamente tutti i contenuti sul nuovo dominio.

Per evitare perdite di ranking, è cruciale predisporre redirect 301 da ogni URL del vecchio dominio al corrispondente URL sul nuovo dominio. I redirect 301 indicano ai motori di ricerca che la migrazione è permanente e trasferiscono la “link equity” (autorità delle pagine) accumulata verso le nuove pagine.

Oltre ai redirect, bisogna aggiornare tutti i riferimenti al vecchio dominio: link interni del sito, file sitemap, file robots.txt, impostazioni degli strumenti di analisi (Google Analytics, etc.) e, per quanto possibile, anche i backlink esterni più importanti che puntavano al sito precedente. È consigliabile utilizzare lo strumento Change of Address di Google Search Console (quando si cambia dominio o sottodominio) per comunicare ufficialmente a Google il cambio di indirizzo, aiutando a migrare più rapidamente i risultati di ricerca dal vecchio sito al nuovo.

Seguendo queste best practice, una migrazione di dominio ben eseguita consente di mantenere la visibilità senza bruschi cali di traffico e, col tempo, di far crescere ulteriormente la presenza organica sul nuovo dominio.

Migrazione della Struttura degli URL

La migrazione della struttura degli URL riguarda modifiche agli URL interni del sito senza cambiare il dominio principale. Ciò accade tipicamente durante un redesign o una riorganizzazione dei contenuti del sito, ad esempio passando da URL con parametri poco leggibili a URL più ottimizzati e descrittivi (es: da example.com/page?id=123 a example.com/nome-pagina). L’obiettivo è spesso rendere gli URL più user-friendly e SEO-friendly, migliorando al contempo la logica gerarchica e la navigazione del sito.

Dal lato SEO, il rischio principale è generare errori 404 e perdere traffico verso le vecchie pagine se i cambiamenti non sono gestiti correttamente. È fondamentale quindi mappare con precisione tutte le vecchie URL e impostare redirect 301 verso le nuove URL corrispondenti, assicurando che utenti e motori di ricerca vengano indirizzati senza intoppi alla risorsa corretta.

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Ogni vecchio percorso dovrebbe avere un equivalente nel nuovo sito; se alcune pagine vengono eliminate o accorpate, i loro URL andranno reindirizzati verso la pagina nuova più pertinente. Una pianificazione attenta di questi redirect evita la presenza di link rotti (broken links) e il conseguente impatto negativo su ranking ed esperienza utente. Inoltre, dopo la migrazione conviene aggiornare la sitemap XML con i nuovi URL e sottoporla nuovamente ai motori di ricerca, così da facilitare la completa scansione e indicizzazione della nuova struttura del sito.

Migrazione del Protocollo (HTTP → HTTPS)

La migrazione da HTTP a HTTPS comporta il passaggio di un sito web dal protocollo non sicuro HTTP a quello sicuro HTTPS, implementando un certificato SSL/TLS. Negli ultimi anni HTTPS è diventato lo standard minimo per qualsiasi sito web: oggi quasi l’88% di tutti i siti utilizza questo protocollo, poiché garantisce connessioni cifrate più sicure. I principali browser segnalano chiaramente come “non sicure” le pagine caricate in HTTP, dissuadendo gli utenti, e Google utilizza l’adozione di un certificato SSL come (seppur lieve) fattore di ranking nei risultati di ricerca. In breve, migrare a HTTPS non è solo importante per la sicurezza dei dati degli utenti, ma anche per la fiducia degli utenti e per evitare potenziali penalizzazioni di visibilità nei confronti dei siti solo HTTP.

Dal punto di vista SEO, la migrazione a HTTPS va pianificata con attenzione per evitare perdite temporanee di traffico dovute a errori tecnici. È necessario acquisire e installare un certificato SSL/TLS valido sul server e configurare il sito in modo che tutte le richieste HTTP vengano reindirizzate alla versione HTTPS corrispondente (implementando redirect 301 globali). Inoltre, bisogna aggiornare tutti i riferimenti interni: link di navigazione, richiami a script, immagini e altre risorse, assicurandosi che puntino al nuovo schema https://.

Un errore comune da evitare è la creazione di catene di redirect (più reindirizzamenti in sequenza): meglio implementare redirect diretti 1-to-1 da ogni URL HTTP alla rispettiva pagina HTTPS, poiché redirect multipli rallentano il caricamento e possono confondere i crawler dei motori di ricerca. Bisogna anche aggiornare la sitemap includendo i nuovi URL HTTPS e verificare che il file robots.txt non blocchi contenuti importanti dopo il passaggio. Durante e dopo la transizione, è opportuno monitorare attentamente il traffico e i ranking: eventuali cali anomali o errori come pagine 404 derivanti da URL non più validi vanno individuati e corretti tempestivamente. Seguendo queste accortezze, il passaggio al protocollo sicuro dovrebbe avvenire senza penalizzazioni durature, con il beneficio aggiuntivo di offrire agli utenti un sito più sicuro e affidabile.

Migrazione di Piattaforma (CMS)

La migrazione di piattaforma (o migrazione di CMS) si verifica quando un sito viene spostato da un sistema di gestione dei contenuti o piattaforma backend a un altro. Ad esempio, un’azienda potrebbe decidere di passare da un CMS proprietario a WordPress, oppure da un’installazione tradizionale di WordPress a un CMS enterprise più scalabile, per ottenere funzionalità migliori, prestazioni superiori o maggiore flessibilità. In questo tipo di “replatforming” il sito viene sostanzialmente ricostruito sul nuovo sistema, trasferendo tutti i contenuti, i file media (immagini, video, documenti) e i dati necessari al funzionamento del sito.

Dal punto di vista SEO, una migrazione di CMS può implicare cambiamenti negli URL (per via di nuove regole di URL rewriting del sistema), variazioni nel codice HTML delle pagine e nei template grafici, e potenziali differenze nella gestione di elementi on-page. È dunque essenziale pianificare meticolosamente la migrazione, assicurandosi che tutti i dati, i contenuti e le funzionalità vengano trasferiti in maniera completa senza interrompere l’esperienza utente.

Prima del go-live sul nuovo CMS, conviene effettuare un audit SEO del sito migrato in un ambiente di staging: verificare che i titoli, le meta description, gli heading (H1, H2, …) e i testi siano presenti e corretti su ogni pagina, che la struttura dei link interni sia mantenuta, e che eventuali nuovi URL abbiano i corrispondenti redirect dalle vecchie URL. Una buona prassi è esportare dal vecchio CMS tutte le informazioni chiave (ad esempio l’elenco di tutte le URL, i meta tag, i contenuti) per poi importarle o riconfigurarle sul nuovo sistema, riducendo il rischio di omissioni di elementi importanti. Inoltre, bisogna aggiornare eventuali integrazioni esterne (come plugin, script di analytics, feed RSS, sistemi di e-commerce) affinché funzionino correttamente con la nuova piattaforma.

Una migrazione di piattaforma ben eseguita può portare benefici significativi: ad esempio un sito più veloce e tecnicamente ottimizzato, una migliore esperienza utente grazie a nuove funzionalità, e opportunità di ottimizzazione SEO che magari il vecchio CMS non permetteva. In sostanza, oltre a preservare il traffico esistente, il passaggio a una piattaforma più avanzata può mettere le basi per future crescite di visibilità organica.

Altri Tipi di Migrazione

Oltre ai casi principali sopra descritti, esistono scenari di migrazione più specifici o parziali. Ad esempio, una migrazione parziale può coinvolgere solo una sezione del sito (come spostare un blog aziendale da una directory a un sottodominio o viceversa). Un altro scenario è la riorganizzazione della struttura multi-sito: ad esempio, la fusione di due siti web separati in un unico dominio (in seguito a una fusione aziendale, per unire il traffico e consolidare l’autorità).

Anche il passaggio di contenuti da un sottodominio a una sottocartella (ad es. migrare da blog.esempio.com a esempio.com/blog/ per ragioni SEO o di convenienza gestionale) rientra nelle migrazioni di struttura. Infine, un completo restyling grafico e strutturale del sito, pur mantenendo lo stesso dominio e grossomodo gli stessi URL, viene talvolta considerato una forma di migrazione “soft”: sebbene gli indirizzi non cambino, un redesign può alterare la navigazione, i contenuti e il codice al punto da richiedere un’attenta verifica per assicurarsi che la SEO non ne risenta (ad esempio verificando che i nuovi template mantengano gli stessi tag SEO importanti del vecchio sito). In generale, qualsiasi modifica sostanziale che possa influire su indicizzazione e posizionamento andrebbe affrontata con l’approccio metodico di una migrazione SEO.

Va sottolineato che combinare più cambiamenti contemporaneamente aumenta la complessità e i rischi. Google, ad esempio, avverte che se si unisce un cambio di dominio con un profondo redesign del sito (modificando anche la struttura URL e i contenuti nello stesso momento), è probabile subire una certa perdita di traffico, poiché il motore di ricerca deve “reimparare” e rivalutare le pagine individualmente nella nuova configurazione. Idealmente, è preferibile scaglionare i cambiamenti oppure mantenere invariata l’architettura del sito durante un cambio di dominio, in modo da ridurre le variabili in gioco e facilitare a Google il trasferimento dei segnali di ranking al nuovo sito.

Un ulteriore caso da menzionare è la migrazione di hosting o server, ovvero il trasferimento di un sito su un diverso server o fornitore di hosting senza alcuna modifica agli URL né ai contenuti. In teoria, questo tipo di migrazione (in cui l’utente non vede differenze negli indirizzi) ha un impatto SEO minimo, a patto che sia eseguita correttamente. Non è necessario usare strumenti come il Change of Address in questo scenario, poiché per Google l’URL del sito rimane identico.

Bisogna però assicurarsi di minimizzare il downtime (periodo di indisponibilità del sito) durante il passaggio e di mantenere prestazioni server adeguate: un cambio di server mal gestito potrebbe causare errori di caricamento o rallentamenti, influendo negativamente sia sull’esperienza utente che sulla scansione dei crawler. Infine, è importante scegliere con cura il momento in cui effettuare qualunque migrazione: evitare di lanciare una migrazione in concomitanza con periodi di picco di traffico o eventi commerciali cruciali.

Effettuare modifiche strutturali in un momento sbagliato (ad esempio in pieno periodo natalizio per un e-commerce) può amplificare l’impatto di eventuali problemi e causare perdite maggiori. Pianificare la migrazione in un periodo più tranquillo, e predisporre risorse extra di supporto durante il processo, aiuta a gestire con più serenità eventuali imprevisti e a ridurre il rischio complessivo.

Pianificazione e Best Practice SEO della Migrazione

In qualunque tipologia di migrazione, una solida pianificazione è la chiave per il successo. Gli esperti suggeriscono di seguire un processo strutturato articolato in tre fasi principali: pre-migrazione, migrazione e post-migrazione. Di seguito esaminiamo ciascuna fase e le attività SEO fondamentali da svolgere:

  1. Pre-migrazione: questa fase preparatoria inizia settimane (se non mesi) prima del giorno del “go-live”. Include attività essenziali come un audit completo del sito corrente (raccogliendo la lista di tutte le URL esistenti e i contenuti), la definizione chiara degli obiettivi della migrazione, e la stesura di un piano dettagliato passo-passo. Bisogna sviluppare una mappa di corrispondenza tra vecchi e nuovi URL e predisporre in anticipo le regole di redirect 301 che verranno applicate, assicurandosi che ogni vecchia pagina abbia una destinazione appropriata sul nuovo sito. È consigliabile impostare un ambiente di staging (una versione di test del nuovo sito) accessibile ai tester ma non ai motori di ricerca, in modo da provare la migrazione senza influire sugli utenti reali. Durante la fase di pre-migrazione, è utile anche effettuare backup completi del sito e pianificare la comunicazione: informare con anticipo i team interni coinvolti (sviluppo, marketing, etc.) e, se opportuno, anche gli utenti/clienti sui cambiamenti previsti e su eventuali brevi disservizi programmati.
  2. Durante la migrazione: il giorno del lancio occorre eseguire una serie di controlli puntuali. Per prima cosa bisogna attivare i redirect dal vecchio sito al nuovo e verificare che funzionino correttamente per tutte le pagine chiave (testando manualmente un set di URL e utilizzando strumenti di crawling per una verifica globale). Occorre controllare che il file robots.txt e i meta-tag robots siano corretti (assicurandosi, ad esempio, che nessuna pagina importante sia inavvertitamente contrassegnata come noindex), che le sitemap XML aggiornate siano state caricate e accettate su Search Console, e che non vi siano errori di scansione gravi segnalati (sia tramite Google Search Console che tramite crawler indipendenti). È importante anche verificare a campione i contenuti sulle nuove pagine per assicurarsi che siano stati trasferiti integralmente e che la formattazione sia corretta, incluse immagini e video. Tutti gli elementi SEO on-page (titoli, meta description, intestazioni H1/H2, attributi alt delle immagini, dati strutturati) dovrebbero essere ricontrollati sulle pagine del nuovo sito, per confermare che nulla di importante sia andato perso o modificato negativamente nel trasferimento. Infine, è opportuno tenere d’occhio gli analytics in tempo reale durante e subito dopo lo switch: si può così verificare se il traffico sta affluendo al nuovo sito e se emergono immediatamente errori 404 o altri problemi critici da correggere.
  3. Post-migrazione: nelle settimane successive, è fondamentale un monitoraggio intensivo delle performance SEO del nuovo sito. Si devono verificare regolarmente i ranking delle keyword principali e il traffico organico per individuare subito eventuali cali anomali, intervenendo tempestivamente in caso di problemi. Tramite Google Search Console si controlleranno gli indicatori di copertura dell’indice (numero di pagine indicizzate, pagine con errori o escluse) e si riceveranno notifiche di eventuali problemi di crawling. Se vengono rilevati errori 404 (pagine non trovate) o altre risorse mancanti, vanno corretti immediatamente aggiungendo i redirect mancanti o ripristinando i contenuti dove possibile. È buona norma monitorare anche la velocità del sito e i Core Web Vitals post-migrazione, poiché cambi di piattaforma o design possono influire sui tempi di caricamento. Inoltre, un controllo dei backlink (con strumenti come Ahrefs, Majestic o simili) consente di individuare link esterni importanti che puntano ancora a vecchi URL: in tal caso, oltre ad assicurarsi che il redirect sia in funzione, si può valutare di contattare i siti referenti per aggiornare quei collegamenti. Questo periodo di monitoraggio attivo permette di stabilizzare la situazione e di consolidare i risultati, gettando anche le basi per sfruttare appieno i benefici a lungo termine della migrazione (ad esempio una struttura più pulita che migliora l’indicizzazione e la distribuzione dell’autorità alle pagine chiave).

Best practice generali

Indipendentemente dal tipo di migrazione, ci sono alcune linee guida SEO trasversali da tenere sempre presenti. Innanzitutto, mantenere coerenza negli elementi on-page: titoli, meta description e intestazioni dovrebbero essere trasferiti o riscritti in modo consistente tra vecchio e nuovo sito, per non perdere il focus e la rilevanza SEO di ciascuna pagina. La strategia di redirect è il cuore di ogni migrazione SEO: assicurarsi che ogni vecchia URL rilevante punti a una nuova URL appropriata (idealmente in rapporto 1:1) e usare sempre redirect permanenti 301, evitando redirect temporanei 302 che non trasmettono appieno il “link juice” alle nuove pagine.

È fondamentale anche evitare le catene di reindirizzamenti: i redirect dovrebbero portare direttamente dal vecchio URL al nuovo, senza passi intermedi inutili, perché ogni salto aggiuntivo rallenta il caricamento e diluisce l’autorità trasmessa. Un’altra best practice è aggiornare tutti i link interni del sito dopo la migrazione, in modo che puntino direttamente ai nuovi URL senza passare attraverso redirect: ciò migliora l’esperienza utente e aiuta i motori di ricerca a scansionare il sito in modo più efficiente, distribuendo meglio l’autorità tra le pagine.

Inoltre, non bisogna dimenticare di aggiornare eventuali strumenti e script collegati al sito: ad esempio, inserire i nuovi URL nei codici di monitoraggio (Google Analytics, Google Tag Manager, pixel di Facebook, etc.), nei feed RSS, nelle API o webhook, e nelle campagne di digital marketing in corso. Se il sito migrato è coinvolto in campagne pubblicitarie (Google Ads, social media), è importante aggiornare le landing page URL di quegli annunci in modo che puntino al nuovo sito, altrimenti si rischia di disperdere budget su pagine non trovate.

Infine, è consigliabile utilizzare una checklist dettagliata e affidarsi, se possibile, a professionisti esperti: questo aiuta a non tralasciare nessun passaggio critico e a condurre verifiche approfondite in ogni fase, dal crawling iniziale del sito vecchio all’audit finale del nuovo. La migrazione di un sito è un processo complesso, ma seguendo un approccio metodico e le best practice SEO illustrate è possibile effettuare il cambiamento minimizzando l’impatto negativo e, anzi, ponendo le basi per migliorare le performance organiche nel medio-lungo termine.

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