Smart working non è remote working: la guida per (ri)organizzare il tuo team e raggiungere gli obiettivi che contano

Smart Working non è lavorare da casa. In questo articolo spiego cos'è veramente, come funziona, quando può essere applicato e perché è diverso da concetti quali telelavoro, remote working o home working.
Smart Working
Indice dei contenuti

Basta usare impropriamente il termine smart working! Smettiamo soprattutto di riferirlo al lavoro da casa.

In questo articolo vogliamo darti tutte le informazioni per farti capire:

  • cos’è lo smart working
  • come funziona
  • quando può essere applicato
  • come “smartizzare” concretamente la tua organizzazione
  • perché è fondamentalmente diverso da concetti quali telelavoro, remote working o home working.

Per fare un paragone noto a tutti noi digital marketers, sarebbe come confondere la figura di un vero social media manager con quella del “cuggino” (che in qualità di teenager sarà bravo sui social, no?) a cui viene chiesto di pubblicare a tempo perso qualche post sulla profilo Instagram della bottega di famiglia.

Studio Samo Pro Minidegree

Siamo su piani diversi, sei d’accordo?

Perché devi leggere questo articolo

Lo smart working sarà il modo di lavorare del futuro.

Non sarà solo un cambiamento professionale ma un vero di stile di vita.

Molti studiosi e imprenditori ritengono che la strada sia già tracciata: d’altronde l’attuale sistema di lavoro è lo stesso che ha preso forma durante con la rivoluzione industriale, quando la maggior parte dei lavoratori non dovevano pensare ma eseguire meccanicamente la propria mansione per un determinato numero di ore al giorno.

L’epoca in cui viviamo oggi è al contrario sempre più caratterizzata dalla complessità. Vengono richieste le famigerate soft skill, le capacità di problem solving: la vecchia forza lavoro si è trasformata in knowledge workers ovvero lavoratori della conoscenza, per usare l’ormai noto termine coniato da Peter Drucker, uno dei padri del project management.

Un team di lavoratori della conoscenza
Un team di knowledge workers. ©Austin Distel

Il valore di un’impresa deriva dai risultati ottenuti dai team più che dalle ore di lavoro effettivamente svolto delle singole persone.

Personalmente credo che in futuro gran parte delle professioni, cartellini e retribuzioni sulle effettive ore di lavoro svolto, saranno solo un romantico ricordo.

Smart working e COVID-19

Il 2020 sarà ricordato come l’anno del boom dello smart working.

Pur non parlando di scoperta – la pratica esiste da moltissimi anni – ci è voluta una terribile pandemia per farlo emergere dalla superficie, almeno in Italia.

I dati registrati da Google Trends parlano chiaro.

Dati di Google Trends sul termini smart working
Google Trends: l’interesse del termine di ricerca “lavoro agile” (nel senso di smart working) negli ultimi 5 anni in Italia.

“Grazie” al lockdown del Covid-19 le organizzazioni hanno dovuto fare di necessità virtù. D’altronde erano due le scelte: sospendere le attività oppure lavorare da casa.

In fatto è che in qualche modo rocambolesco le cose sono andate avanti lo stesso, sorprendendo anche le aziende più diffidenti.

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È evidente che per le realtà più lungimiranti, e quindi meglio attrezzate, lo shock di non avere i propri lavoratori in azienda è stato più limitato, mentre per quelle più tradizionali, non tanto nei termini di settore ma di mindset organizzativo e tecnologico, la sfida è stata colossale.

Ma ora abbiamo un problema bello grosso: molti parlano di smart working senza sapere di cosa stanno parlando. Il caso più comune è la correlazione con il lavoro da casa.

Sbagliato. O meglio, lo smart working è molto, molto di più.

La normativa dello smart working in Italia

La normativa dello smart working in Italia è un sotto argomento che preferiamo non approfondire in questa sede: sposterebbe il focus ad aspetti legislativi e burocratici (più d’interesse per la pubblica amministrazione e le grandi aziende) rispetto a quelli sostanziali e operativi che vogliamo qui sviscerare per aiutarti a comprendere come e se li puoi mettere in pratica nel tuo lavoro di imprenditore, manager, professionista del marketing.

Ad ogni modo abbiamo riportato alcune considerazioni qui, un articolo, che pubblicammo a inizio lock down.

Cos’è lo smart working

Dal punto di vista meramente pratico, lo possiamo considerare una modalità di lavoro che non prevede stringenti vincoli spaziali, orari e di strumenti.

Ripetiamo, spaziali e orari. Per cui lavorare da casa con il tradizionale orario 9-17, se imposto dall’azienda, non è tecnicamente smart working.

Tuttavia per comprendere lo spirito dello smart working è più giusto considerarlo come una filosofia manageriale che punta a dare maggiore flessibilità e autonomia ai lavoratori.

Come per la filosofia Agile anche nell’applicazione dello smart working è più importante acquisirne il mindset che replicare i processi utilizzati da altri facendo copia e incolla.

Citando l’Agile non posso esimerti a fare un inciso: la legge italiana usa il termine lavoro agile in modo equivalente a smart working, a mio avviso impropriamente poiché crea confusione con le note pratiche agili, che per quanto ben si prestino allo smart working, sono un’altra cosa.

Immagine di ragazza al pc con penna in bocca
In Italia si usa impropriamente il termine “lavoro agile” per intendere lo smart working. ©Jeshoots.com

Ora focalizziamoci sulle tre parole chiave su cui strutturare lo smart working:

  1. Rapporto di fiducia tra azienda e lavoratore
  2. Responsabilizzazione
  3. Valorizzazione dei talenti

Come avrai notato non abbiamo ancora parlato di strumenti: finché non avrai affrontato e sviscerato i tre concetti all’interno della tua organizzazione, non ci sarà nessun tool che ti darà i super poteri dello smart worker.

1. Rapporto di fiducia tra azienda e lavoratore

Il rapporto di fiducia tra l’azienda e il lavoratore (e viceversa) è il punto di partenza.

Comestiamo intuendo lo smart working riduce drasticamente il controllo del manager sui collaboratori, a tutti i livelli.

Questo è il motivo per cui lo smart working fa paura a moltissime aziende.

Senza sprecare tanta immaginazione, pensiamo all’imprenditore che alle ore 9 del lunedì mattina sorge il dubbio sul fatto che i propri dipendenti siano effettivamente a testa bassa, davanti un pc, a battere la tastiera, al posto di sgranocchiare uno spuntino al bar sotto casa.

Oppure, venendo al nostro mondo, al marketing manager o project leader che si chiede: “Mario ha iniziato a lavorare sull’ultimo articolo del blog in pubblicazione domani? Luisa si ricorda che alle 12 deve inviare la newsletter?”.

Situazioni verosimili, non credi?

Lo smart working deve essere visto come un contratto di fiducia, il ragionamento deve essere: so che i miei collaboratori faranno i loro compiti con successo, non mi importa se in questo preciso momento sono davanti un pc oppure sotto la doccia.

Ok, è più facile a dirsi che a farsi, ma vi sono delle pratiche che vengono in aiuto, che di seguito illustreremo.

2. Responsabilizzazione

È l’altra faccia della medaglia. La fiducia va guadagnata dimostrando responsabilità nei confronti dei propri impegni, dei propri colleghi, dell’azienda o cliente che mi paga.

Il senso di responsabilità è una caratteristica molto importante nello smart working, che l’azienda deve instillare all’interno dello staff. A partire dalla selezione del personale, durante la quale vanno indagati vari aspetti tra cui la predisposizione per l’autonomia e l’orientamento dei risultati. Ne parleremo tra poco.

3. Valorizzazione dei talenti

Lo smart working funziona se all’interno di esso vi sono le condizioni per valorizzare i talenti.

Per essere autonomo, flessibile e responsabile, lo staff smart deve essere motivato e capace, quindi in grado di raggiungiungere gli obiettivi prefissati.

Pratiche come la formazione, le retrospettive, una buona comunicazione interna, la chiarezza di obiettivi e processi, e la condivisione dei valori cardine aiutano ad attirare le persone di maggior talento e a mettere a frutto le loro competenze. Essi altro non sono che la benzina di ogni azienda.

Insegna con su scritto
La formazione è un aspetto essenziale per la valorizzazione dei talenti. ©Tim Mossholder

Smart working VS home working

Ora è più chiaro: lo smart working è molto di più del lavoro da casa.

Azzardo nel dire che si tratta proprio di un’altra cosa, al punto che lo smart working non ha come prerogativa l’aspetto caratterizzante dell’home working, ovvero il lavorare da casa.

In ottica smart, lavorare da casa è solo una delle possibilità all’interno dell’ampio ventaglio della flessibilità.

Già il concetto di remote working allarga ulteriormente il concetto spaziale di home working: il lavoro da remoto, infatti, può avvenire anche da una stanza di albergo, una scrivania di co-working, un tavolino di Starbucks, e così via.

Il concetto base è che non conta più da dove lavori. Potenzialmente ovunque vi sia un tavolo, una presa di corrente e una connessione a internet può diventare una la tua postazione di lavoro per quel giorno.

Ragazzi che lavora al pc in un caffè
Smart working non significa necessariamente lavorare da casa. Starbucks ebbe un grande rilancio quando, grazie alla free Wi-Fi, di fatto invitò i giovani a lavorare nelle loro caffetterie. ©Austin Distel

Lo smart working è molto di più del remote working.

La confusione tra i termini deriva dal fatto che la flessibilità viene associata principalmente allo spazio, senza considerare l’altro indispensabile fattore: il tempo.

Lo smart working prevede anche un orario flessibile che il lavoratore si può gestire come preferisce, compatibilmente con gli impegni assunti (riunioni di team, call con clienti, ecc.).

Appare sempre più evidente che la combo di luogo e orari porti a un’assenza di controllo sul lavoratore, con annesse tutte le comprensibili paure da parte dell’azienda (pagante).

È qui che entra in ballo l’aspetto più trascurato ma allo stesso tempo più sostanzioso dello smart working: lavorare per obiettivi

Lavorare per obiettivi

Oggi la maggior parte delle corporation afferma di (far) lavorare per obiettivi. Sono quelle che il sociologo belga Frederic Laloux definirebbe “organizzazioni arancioni”: grazie agli obiettivi, queste aziende mettono in atto una sorta di meritocrazia che porta all’innovazione e quindi al “successo”.

Una digressione: le argomentazioni di Laloux sono estremamente affascinanti e talvolta critiche nei confronti della competizione aziendale. Pertanto se fossi interessato a conoscere dei punti vista laterali sulla gestione delle organizzazioni ti invitiamo a leggere il suo bestseller Reinventing Organization.

Torniamo a noi. Credo che il termine obiettivi sia inflazionato nello stesso modo in cui avvenne con amici durante i primi anni di Facebook.

Il significato si dilata e porta a fraintendimenti.

Ora lancio una provocazione: un team può lavorare per obiettivi quando, in modalità top-down, vengono indicate esattamente quali micro task svolgere, come svolgerle e in che orari? E ammettiamo che degli obiettivi esistano: sono effettivamente ben definiti oppure lasciano spazio a diverse interpretazioni tra i membri della stessa organizzazione? 

Macchina da scrivere con scritta
Nello smart working gli obiettivi devono essere siano chiari e definiti. ©Markus Winkler

Due domande sciocche, ma che palesano le difficoltà a monte del lavorare per obiettivi.

È necessario un cambio di approccio, prima che organizzativo.

Partiamo dalle basi.

  • Gli obiettivi devono essere chiari poiché devono allineare tutti i soggetti coinvolti. Talmente chiari e condivisi da diventare dei connettori, il punto di riferimento per la collaborazione del team. Solo così potremo superare quello che tradizionalmente ci costringe a lavorare insieme: un orario e uno spazio di lavoro uguale per tutti.
  • Gli obiettivi devono essere rilevanti e funzionanti per l’azienda. Il management aziendale dovrebbe definirli, una volta focalizzati i propri prodotti o servizi, riflettendo sui seguenti punti:
    • Il purpose. È il why: perché stiamo facendo questo servizio e quindi impostiamo questo obiettivo?
    • Il piano. È l’how: come dovremo procedere per raggiungere il goal?
    • La responsabilità. Sono il who e il what: cosa deve fare ogni persona per contribuire al conseguimento del nostro obiettivo?

Gli obiettivi di marketing: output VS outcome

Addentriamoci ora nel nostro mondo, quello del marketing e della comunicazione, per distinguere due diverse tipologie di obiettivi, spesso confuse tra di loro, impendendo così il percorso verso la vera “smartizzazione”.

Perdonaci se manteniamo la terminologia in inglese, ma ci appare più efficace:

  • Marketing Output(s): sono le cose che dobbiamo fare (nel project management, diremmo i deliverable), quello che in una visione tradizionale vediamo come l’obiettivo del lavoro: ottimizzare una pagina prodotto, stilare il piano editoriale, fare un post su Instagram, inviare una newsletter, creare una campagna brand, ecc.
  • Marketing Outcome(s): è l’impatto del marketing sul business. Sono valori collegati al comportamento degli utenti e li misuriamo ad esempio come costo per lead, entrate da e-commerce, tasso di abbandono, ecc.

È evidente, misurare gli output è generalmente più facile rispetto agli outcome. Ma converrai nel riconoscere l’estrema importanza di sincronizzare le due cose, non solo nel team marketing ma all’interno di tutta l’organizzazione.

L’argomento obiettivi si sta complicando. Ma non preoccuparti, ci vengono in soccorso gli OKRs.

Gli OKRs
Objectives and Key Results (OKRs).

Dagli obiettivi agli OKRs

Objectives and Key Results, comunemente noti con l’acronimo OKRs, sono un framework per l’impostazione di obiettivi.

L’obiettivo degli OKRs è collegare gli obiettivi (perdona il gioco di parole) individuali, di team e aziendali, portandoli in una medesima direzione.

A differenza degli obiettivi di stampo “tradizionale”, quindi statici e tipicamente top-down, gli OKRs sono dinamici, collaborativi e permettono di tracciarne l’evoluzione e il loro raggiungimento giorno dopo giorno.

Una volta definiti diventano informazioni accessibili a tutti: è importante che ogni lavoratore sappia cosa ci si aspetta da lui e dal suo team.

E lui cosa aspettarsi dagli altri team e funzioni aziendali. In modo trasparente e condiviso.

Ad aiutarci in questo servizio esistono diversi tool nati proprio per il fine (ad esempio Weekdone, Ally, RiskHub, quest’ultimo italiano) oppure funzionalità specifiche di software di work management (Jira, Asana, Wrike, ecc.).

Come avrai notato OKRs è un termine composto da due elementi:

  • Objective. È il goal ultimo che l’azienda/il team vuole raggiungere.
  • Key results. Sono gli indicatori attraverso i quali potrai misurare il progress verso il raggiungimento dell’objective.

Concettualmente il modello è semplice e universale, in grado di adattarsi alla mission di ogni azienda.

Di seguito trovi alcuni case studies pubblicati su una recente ricerca di Asana:

OKRs della città di Syracuse, in USA
OKRs di un’amministrazione pubblica: il caso della città di Syracuse, negli Stati Uniti.
OKRs dell'azienda Duolinguo
OKRs di un’azienda che sviluppa App: il caso di Duolinguo.
OKRs di John Doerr
OKRs nella vita di tutti i giorni: il caso di John Doerr, pioniere e dovulgatore della metodologia OKRs.

OKRs nel marketing

Gli OKRs si tramutano in una lista di 3-5 obiettivi ad alto livello (objectives), ognuno dei quali misurato attraverso opportuni indicatori (key results). Questi ultimi dovrebbero essere determinati con un punteggio in percentuale (%) oppure da 0 a 1.

Solitamente la definizione degli OKRs avviene con cadenza trimestrale (i famosi quarter aziendali), ma non vi è un obbligo in tale senso: come detto stiamo parlando di uno strumento flessibile, vi sono infatti realtà che preferiscono pianificare gli OKRs mensilmente o addirittura annualmente.

Sotto troverai degli esempi concreti di OKRs applicati a professioni tipiche del mondo del marketing.

OKRs per un marketing manager
Esempi di OKRs di un marketing manager.
OKRs di un content marketer
Esempi di OKRs di un content marketer.
OKRs di un head of marketing
Esempi di OKRs di un head of marketing.

Chi usa gli OKRs

Gli OKRs funzionano. Sono molte le storie di successo attorno all’adozione degli OKR. L’apripista è stata Intel.

Siamo a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 quando l’allora presidente Andy Grove trasformo un’azienda in difficoltà – la concorrenza stava diventando sempre più agguerrita e innovativa – nel colosso che oggi conosciamo.

Egli cambiò il tradizionale approccio di obiettivi top-down introducendo quelli che denominò Intel Management by Objectives, poi semplificati in Objectives and Key Results.

Il modello fu codificato e reso celebre dal venture capitalist John Doerr che lo portò nella Silicon Valley. Il caso più eclatante è quando, nel 1999, Doerr suggerì queste idee a due giovani, Larry Page e Sergey Brin, ideatori di una piccola startup, innovativa e ambiziosa, ma ancora senza una vera visione di business.

Il suo nome era Google e gli sviluppi sono più o meno noti a tutti.

Nel 2018 Doerr ha raccontato la sua storia anche sul palco del TED in uno speech di 11 minuti molto ispirazionale, che puoi vedere qui sotto.

Oggi le aziende più moderne e orientate all’innovazione dichiarano esplicitamente di utilizzare framework ad OKRs. Oltre alle già citate Intel e Google, segnaliamo alcune altre company che probabilmente conoscerai:

  • Amazon
  • Facebook
  • LinkedIn
  • Twitter
  • Netflix
  • Spotify
  • Zalando
  • Booking.com
  • Uber
  • Moz
  • Dropbox
  • Eventbrite
  • Saleforce.com
  • Asana
  • Slack
  • Mozilla
  • Vodafone
  • Deloitte
  • Oracle
  • GoPro
  • LG
  • Panasonic

Se ti interessasse approfondire ulteriormente il mondo degli OKRs segnaliamo due testi di riferimento: Measure What Matters del già citato John Doerr e Objectives and Key Results di Paul R. Niven e Ben Lamorte.

Non vuoi aspettare 3 giorni per la consegna a casa del libro? Segui il blog OKRs.com o le pregevoli iniziative di divulgazione della giovane Associazione Italiana OKR.

Chi può fare lo smart working

Ogni professione può avere un orientamento per obiettivi? Per lo più sì.

Tutte le tipologie di lavoro possono funzionare in smart working? Chiaramente no.

Senza fare inutili elenchi di categorie, è evidente che alcune mansioni di front office e di customer care devono garantire una copertura oraria e talvolta una presenza fisica (il classico sportello).

Lo stesso discorso vale per molti lavori del settore metalmeccanico (pensiamo allo staff in produzione, naturalmente legato a macchine non “remotizzabili”) e tutto il mondo della sanità e cura della persona (infermieri, medici, ecc.), solo per fare alcuni altri esempi.

Ma concentrandoci al mondo dei knowledge works, specificatamente all’ambito del digital marketing: non possiamo più nasconderci dietro a scuse o fare finta che lo smart working sia impossibile.

Attenzione: con questo non vogliamo assolutamente sostenere la superiorità del lavoro da remoto rispetto a quello fisico. Anche in Studio Samo, per restare in casa, crediamo moltissimo nel valore di un team co-locato, non solo per la maggiore efficacia della comunicazione vis-a-vis o il bisogno sociale di fare una chiacchiera tra colleghi alla macchinetta del caffè (ora con la mascherina).

Lo smart working è flessibilità, pertanto è compatibile con qualsiasi comportamento che porti maggior benessere per il lavoratore nel rispetto della produttività, in termini di raggiungimento degli obiettivi: personali, di team e aziendali.

Come applicare lo smart working

La via maestra è il project management. Un project management in grado di passare dal concetto di ore-uomo/ore-macchina per concentrarsi su cosa conta di più: gli outcomes, i deliverable, la soddisfazione di tutti gli stakeholder (team, management, clienti, ecc.).

Dobbiamo quindi superare i condizionamenti delle forme contrattuali legate alle classiche modalità. Un lavoratore dipendente può lavorare da remoto? Sì!

Serve quindi un management aziendale in grado di organizzare e abilitare queste diverse modalità di lavoro. Senza tale passaggio preliminare, l’utilizzo (apparentemente smart) di software quali Teams o Zoom non farà altro che amplificare tutte le preesistenti inefficienze di processo.

Prendendo spunto dalle esperienze condivise da alcuni autorevoli project manager italiani come Cristiano Ottavian e Marco Caressa, i fronti da analizzare sono essenzialmente tre: il processo di lavoro, la comunicazione, gli obiettivi.

1. Aggiusta il processo di lavoro

Ogni azienda dovrà probabilmente rivedere i propri processi e renderli compatibili con la flessibilità di cui abbiamo parlato.

Se invece non ti sei ancora mai occupato seriamente del WOW – acronimo diWay of Working – del tuo team, è giunta l’ora di farlo.

Uno smart working efficace ha un’ottima organizzazione. Significa che dovrai organizzare le attività e il lavoro secondo criteri diversi.

La chiave di successo sarà quindi impostare procedure snelle assieme a una buona pianificazione del lavoro.

Inoltre, se l’azienda non l’avesse già previsto, arriva ora il momento di dare un ritmo al lavoro. Questo consente di rendere le attività più digeribili e ispezionabili, tenendo sotto controllo i risultati.

A tal proposito gli approcci agili vengono in aiuto: sprint, timebox e interazioni sono parole che probabilmente avrai già sentito. Semplificando, intendiamo un blocco di tempo, che può andare da 1 a 4 settimane, all’inizio del quale si decide il lavoro da svolgere e una volta terminato si revisionano i risultati ottenuti in base ad obiettivi prefissati.

Come si dice nel gergo, è una strategia per “mangiare l’elefante”, ovvero spezzettare un lavoro che visto tutto assieme diventa inaffrontabile.

Immagine del modo di dire
Eat the elephant one bite at a time (“mangiare l’elefante una morso alla volta”) è un modo di dire in inglese per intendere che i grandi progetti/problemi vanno affrontati un pezzo alla volta. Lavorare per sprint ti porta verso questa direzione.

Mai come quando si lavora da remoto, diventa centrale assumere una cultura dei dati e della trasparenza, che permetta sia il controllo dei team leader, sia il coinvolgimento di ogni singolo collaboratore, vedendo su cosa si sta lavorando e il progress di avanzamento dei progetti.

Non solo. Ricordiamoci che con lo smart working non vediamo più chi è in ufficio e quante ore è alla scrivania: questo comporta il rischio che alcune persone perdano quel senso di riconoscimento e gratificazione del proprio lavoro.

Infatti quando si lavora da casa diventa spontaneo chiedersi: qualcuno sta notando il mio impegno?

Ancora una volta parliamo di trasparenza del lavoro e dei processi. Non abbiamo più scuse perché oggi gli strumenti di work management digitali, che aiutano in tal senso, sono alla portata di tutte le task(e).

È onere (e onore) del management mettere i propri collaboratori nelle condizioni di dare il massimo lavorando in modalità smart. Lo possiamo raffigurare in tre livelli:

  • Livello personale: attuare e mantenere una sufficiente conoscenza e relazione tra le persone.
  • Livello di organizzazione: rendere chiari i compiti, i tempi e i modi di lavoro e comunicazione.
  • Livello di strumenti: assicurarsi che tutti abbiamo accesso e sappiano usare gli strumenti.

Per dirla ancora con Ottavian e Caressa, “conoscere bene chi (personale) fa (strumenti) che cosa e come (l’organizzazione)”.

2. Ottimizza la comunicazione

Nello smart working la comunicazione è un aspetto cruciale. Va ottimizzata, in modo da evitare i due rischi posti agli estremi: la solitudine del silenzio e l’esasperante overload informativo.

Indagine sui principali problemi nel lavorare da remoto
I principali problemi riscontrati nel lavoro da remoto. Da una ricerca di Buffer del 2019.

Ricordiamo le tradizionali modalità di interazione:

  • Uno a uno
  • Uno a molti
  • Molti a uno (diverse persone aggiornano una)
  • Molti a molti (tutti collegati scambiando idee)

Un buon processo – vedi punto precedente – lascia poche incertezze su chi deve dire (e fare) cosa e a chi. Definire molto bene il perimetro delle persone – ruoli, mansioni, responsabilità – diventa essenziale.

Ma quello che diventa ancora più indispensabile è sapere quando comunicare in modalità sincrona e quando asincrona.

Nello smart working i momenti della comunicazione diretta vengono ridotti, pertanto bisogna sapere quando essi sono effettivamente necessari.

Le comunicazioni in modalità sincrona vanno utilizzate quando l’obiettivo è la convergenza: pensiamo a una riunione di confronto che deve concludere con una decisione. Quindi ne devono conseguire azioni.

L’importante è evitare che i meeting online diventino come nella parodia di questo video. È del  2014, ma ancora terribilmente attuale.

Mi consola il fatto di non essere l’unico a cui questo video ha fatto scompisciare: è diventato in fretta così virale (oggi registra oltre 21 milioni di visualizzazioni) che l’anno successivo la piattaforma Zoom pensò bene di farlo replicare in forma di partnership.

Un riuscito caso di content marketing. Se vuoi farti altre quattro risate te lo proponiamo qui sotto.

In modalità sincrona possiamo prevedere anche le principali cerimonie della gestione Agile: lo sprint planning, la sprint review e la retrospective.

Diversamente, per tutti i meeting di aggiornamento o allineamento si deve preferire una comunicazione asincrona, ovvero senza gli interlocutori “in diretta”.

Attenzione, l’abuso dei mezzi sincroni non si riferisce solo alle classiche conference call, ma anche alle chat real-time come Skype o WhatsApp.

Fortunatamente oggi disponiamo di moltissimi strumenti anche gratuiti per la gestione delle comunicazioni asincrone, come i tool di work management. Usiamoli!

Volendo riassumere: in sincrono affrontiamo le criticità e le negoziazioni, in asincrono le operatività e l’ordinaria amministrazione.

Questa è la chiave di volta per ridare valore al tempo delle persone, e allo stesso tempo un approccio che porterà un grande aumento di produttività alle aziende!

3. Imposta gli obiettivi

Il telelavoro esiste da molto tempo, addirittura precedentemente l’esistenza delle piattaforme tecnologiche che abbiamo a disposizione oggi, quando si parlava di team virtuali.

Strutturare lo smart working è quindi un’altra cosa.

Significa riconoscere la differenza tra misurare il tempo del lavoro delle persone e misurare l’output (e l’outcome) del lavoro, passando da una visione tayloristica a ragionare per obiettivi.

Il metodo principe per la definizione degli obiettivi sono gli OKRs di cui abbiamo disquisito in precedenza.

Alcune aziende disruptive stabiliscono gli objectives combinando esigenze top-down con quelle bottom-up, quindi una sintesi tra i desiderata dei vertici aziendali con quanto emerge “dal basso”, dallo staff più operativo.

Una volta fissati gli objectives, saranno i singoli team a individuare i key results che porteranno agli obiettivi di alto livello. Questa è una buona pratica che potrebbe aiutarti a stabilire gli obiettivi giusti e ottenere il commitment di tutta l’organizzazione.

Infine ricorda la sempre valida regola S.M.A.R.T.,nata dalla filosofia del Management by Objectives (MBO), che in tal caso si sposa anche linguisticamente con il nostro working.

Ogni obiettivo pertanto dovrà essere:

  • Specific (specifico)
  • Measurable (misurabile)
  • Achievable (raggiungibile)
  • Relevant (rilevante)
  • Time-based (con una scadenza)
Significato degli obiettivi smart, o smart goals

10 Tips

Sei arrivato fino a qua, complimenti!

Ti meriti 10 consigli super pratici che potrebbero esserti molto utili se lavori con team distribuiti, o comunqueladdove il lavoro da remoto diventi preponderante.

  1. Stabilisci uno o due giorni a settimana “no meeting” in cui si dovranno evitare riunioni o call, in modo che le persone possano organizzare al meglio il proprio lavoro.
  2. In alternativa, perseguendo lo stesso proposito, potresti prevedere che i meeting vengano fissati solo al mattino (o al pomeriggio).
  3. Acconsenti alle persone di prenotarsi in calendario dei blocchi orari “do not disturb” nel caso abbiamo necessità di concentrarsi su qualche attività senza subire le solite interruzioni. Il “non disturbare” è uno status che puoi inserire anche nei tool di comunicazione che hai in uso (Slack, Skype, Asana e molti altri lo prevedono).
  4. Chiarifica quando usare la comunicazione sincrona e quando asincrona. Ad esempio disciplina l’uso dei commenti con i tool di work management al posto delle chat. Ancora una volta si eviteranno snervanti interruzioni.
  5. Sii scrupoloso nel chiarire cosa si intende per “lavoro fatto” e le tempistiche entro cui svolgere le task. È la qualità (e chiarezza) delle informazioni, non la quantità, che dà fluidità e allineamento delle priorità all’interno di un team.
  6. La mancanza di socializzazione è il grande pain del remote worker. È molto facile sentirsi abbandonati dall’azienda. Prevedi uno spazio virtuale per chi vuole fare un break scambiando due chiacchiere con un collega, ad esempio creando una stanza always on su Zoom o Meet: chi vuole socializzare si collega.
  7. Per la stessa ragione, anche sfruttando una parte del budget risparmiato dalla riduzione delle spese per l’ufficio, organizza periodicamente con tutto “l’ufficio” un aperitivo offline (quello vero, con lo spritz, il prosecco e le patatine per capirci). Va bene anche una volta al mese, od ogni due.
  8. Alcuni team distribuiti lo fanno e sembra essere efficace per aumentare il senso di inclusione e attaccamento: invia dei gadget aziendali ai membri in occasione del loro compleanno o anche di festività come il Natale.
  9. Assumi persone che abbiano le soft skills del buon smart worker. Spirito di collaborazione, flessibilità, proattività e senso di responsabilità sono un must.
  10. Ascolta i pareri dei lavoratori. Come manager o team leader è importante che trovi dei momenti di ascolto (anche in video call) per ricevere feedback dalle singole persone: raccoglierai spunti preziosi per ritarare il WOW, il modo di lavorare dell’organizzazione.

Conclusioni

Una pandemia ci ha tenuti in casa per mesi mostrandoci come sia possibile fare il proprio lavoro lontano dagli uffici. Per molti è stata una lezione che segnerà quella che viene ormai definita “the new normal”.

Sondaggio di LinkedIn su quante persone vogliono tornare a lavorare in ufficio nel post Covid
Un recente sondaggio di LinkedIn sull’eventuale continuazione del telelavoro una volta passata l’emergenza Covid-19. Oltre il 60% ritiene che in qualche misura le aziende continueranno ad adottarlo.

Ci troviamo di fronte a un’occasione per ripensare in meglio la modalità di gestione del lavoro, riconfigurandone i processi.

Abbiamo visto che vi sono strumenti potenti come gli OKRs, finora appannaggio solamente delle aziende più innovative.

Paradossalmente sono state proprio alcune grandi corporate, nonostante il peso delle dimensioni, ad essere state più pronte nella gestione smart.

Per le piccole aziende, snelle e reattive per natura, è giunto il momento di cogliere questa opportunità per garantire competitività negli anni a venire.

Non concentriamoci sui tool, molto spesso già li abbiamo e usiamo: dobbiamo ripensare all’organizzazione e iniziare a vedere il lavoro in modo diverso. Più moderno.

Potremo ottenere benefici ambientali – a partire dalla riduzione dell’inquinamento dovuta al non recarci per forza ogni giorno in ufficio – e personali, dato che il bilanciamento tra vita lavorativa e privata è diventato sempre più labile – in un recentissima ricerca interna di Microsoft è stato calcolato un aumento del +52% dei messaggi inviati a colleghi tra le ore 18 e le 24.

Lo smart working nel suo senso pieno semplicemente rimette al centro le persone, con le loro diversità, unicità e bisogni di flessibilità.

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Quando si lavora in Google Ads è importante monitorare ciò che fanno i competitor non solo per i prodotti o servizi che offrono agli utenti, ma anche per capire come si propongono, che linguaggio usano e a cosa danno più importanza. In questo articolo ti parlerò dell’analisi dei competitor a partire dalle parole chiave presenti all’interno delle campagne in rete di ricerca.

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Mattia Cantoni

Redirect 301 per la SEO: una guida completa

I redirect 301 sono tanto semplici da impostare quanto pericolosi per l’ottimizzazione SEO se utilizzati in modo scorretto. In questa guida passo-passo
scoprirai come padroneggiare l’utilizzo di un redirect 301 e come prevenire alcuni dei più comuni errori.

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