Proximity Marketing: cos’è e a cosa serve

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C’è una nuova frontiera del marketing che, a volte ignorata o sottostimata dalle agenzie, ma sempre più ricercata dai clienti, che si sta facendo lentamente strada anche in Italia, conquistando posizioni importanti e proponendosi come necessario complemento alle attività di marketing digitale.

Sto parlando del Proximity Marketing, o marketing di prossimità.

Proximity Marketing: a cosa serve

Il principio che sta alla base alle attività di Proximity Marketing è molto semplice.

Studio Samo Pro Minidegree

L’impresa che voglia investire nel marketing digitale si trova spesso a concentrare tutti i suoi sforzi nella brand awareness e nella fase di acquisizione del cliente. Ottimizzerà il proprio sito in termini SEO, creerà un blog per aumentare la propria credibilità presso il target di riferimento, userà i Social Media come canale di comunicazione attiva e bidirezionale con i propri clienti. Insomma, concentrerà molti dei propri sforzi nella parte alta del funnel di conversione.

Che succede invece nella parte bassa del funnel, che pure dovrebbe essere una zona di massima attenzione per il marketing di ogni impresa? Se parliamo di un’azienda che completa il proprio funnel di conversione online – come un e-commerce, ad esempio – non avremo dubbi: la finalizzazione del processo sarà tutta interna al sito web, con obiettivi chiari e misurabili, e la possibilità di ottimizzare i flussi nel migliore dei modi.

La maggior parte delle imprese, tuttavia, non opera così: alla fase di brand awareness e a quella di acquisizione del cliente seguiranno necessariamente momenti di contatto che esulano dal mondo digitale.

Pensa ad un punto di vendita, a un hotel o a una località turistica, per citare solo alcune delle possibilità.

In tutti questi casi, l’azienda si trova a dover interagire con il cliente solo in momenti particolari, che hanno tutti un tratto in comune: non sono digitali. Il cliente entra nel negozio (parliamo naturalmente del grande store, non del pizzicagnolo sotto casa) e si trova lasciato a se stesso davanti a un mare di elettrodomestici, ad esempio, o di prodotti per il fai da te. Uniche isole in questo mare: i pochi addetti al reparto che spesso forniscono informazioni incomplete (qualche volta sbagliate) e, soprattutto, si trovano a dover fronteggiare da soli decine di clienti alla volta.

Tipico, no?

Ma non sono solo i grandi centri commerciali ad essere sotto accusa. Io sto scrivendo questo articolo in una camera d’albergo. Un hotel nuovo, aperto da un mese, dotato di mille confort e mille servizi. Solo che nessuno lo sa. Nessuno mi ha informato alla reception che l’hotel è dotato di una palestra interna, nessuno mi ha detto che la sala della colazione si trova all’ultimo piano e non, come di consueto, al piano terra, nessuno mi ha spiegato come accedere al wi-fi. Sono informazioni che ho scoperto per caso, oppure ho dovuto ricercare con fatica o chiedere esplicitamente. Se volessi andare a fare un po’ di esercizi in questo momento, ad esempio, non saprei come fare, perché non conosco gli orari di apertura della sala ginnica, né le modalità di accesso.

Quante volte è capitato anche a te?

Il content marketing sul punto vendita

La mancanza di un content marketing sul punto di vendita, ossia di punti di contatto in cui il cliente possa cercare informazioni sui prodotti e servizi a sua disposizione proprio nel momento in cui è più vicino al momento della loro acquisizione, è una caratteristica tipica della gran parte delle imprese.

Il problema è che, mentre 10 anni fa questa mancanza poteva portare a mancate vendite, ma non andava a intaccare in modo significativo il ciclo del cliente, oggi non è più così, perché lo ZMOT del cliente, il momento in cui egli muove verso la decisione d’acquisto secondo la celebre definizione di Jim Lecinski, nell’epoca degli smartphone si è spostato molto in avanti. Insomma, pensaci un attimo. Oggi entri nel negozio di elettrodomestici per acquistare una nuova lavastoviglie. Cosa fai? Se assomigli alla stragrande maggioranza della popolazione italiana, guardi i modelli che ti piacciono, confronti i prezzi, verifichi le prestazioni sulla base delle informazioni disponibili sui cartellini illustrativi del prodotto.

Poi?

Poi apri il cellulare.

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E lì iniziano i problemi. Perché tu sei ancora fisicamente nel negozio, ma con la testa (e con il cellulare) sei sul sito del concorrente, o su Amazon, o ancora sul sito del produttore a cercare il 99% delle caratteristiche tecniche che non ti sono state spiegate sul cartellino disponibile nel punto di vendita.

La rivoluzione mobile nel punto di vendita

La rivoluzione mobile che stiamo vivendo in questi anni non è stata ancora del tutto compresa dalle aziende, che si limitano troppo spesso a inseguire il fenomeno senza comprenderne a fondo la portata.

Avremo così imprese che rendono responsive il proprio sito, altre che sviluppano App che poi non sono capaci di aggiornare o gestire, e che quindi subiscono una velocissima obsolescenza da mancanza o inadeguatezza di contenuti. Anche nella migliore delle ipotesi, tuttavia, la domanda permane: come faccio a far sì che la mia attività di content marketing – quella che presumibilmente ha portato il cliente al negozio – continui anche dentro al negozio, o al punto di contatto con il cliente, sfruttando la prossimità del cliente con i miei prodotti come un vantaggio per offrire sia contenuti pertinenti, sia offerte commerciali in upselling che possano far aumentare il mio scontrino medio?

La risposta migliore che conosco a questa domanda è: con il Proximity Marketing!

I 3 ingredienti base del Proximity Marketing

Il marketing di prossimità si basa su due principi fondamentali: devo offrire al mio cliente contenuti pertinenti con la sua intenzione di acquisto, e devo farlo nel momento in cui egli è in prossimità del prodotto che intende acquistare.

Per ottenere questo risultato, sono necessari evidentemente tre ingredienti.

Il primo di questi ingredienti è facile da procurare. Sto parlando, ovviamente, dei contenuti: perché la tecnologia è bella e utile, ma se non la riempi di contenuti pertinenti e utili al tuo target (leggi in sintesi: contenuti di qualità) rimane sterile come la sabbia di un deserto africano.

Il secondo ingrediente è un mezzo in grado di veicolare i contenuti al tuo target. Una mobile App, insomma, che si possa riempire dinamicamente dei contenuti che intendi associare a un determinato prodotto o servizio.

Il terzo ingrediente è forse il meno intuitivo. Parliamo di uno strumento di intermediazione, in grado di comunicare alla tua mobile App che sei in una posizione associata a un contenuto specifico. Questo strumento è il beacon.

Beacon: che cosa sono

Quando parliamo di Proximity Marketing, ci riferiamo alla nostra capacità tecnologica di costruire delle applicazioni mobile che siano in grado di reagire dinamicamente a degli stimoli ambientali dettati dalla posizione in cui si trova lo smartphone del cliente.

È qui che entra in gioco il beacon: la tecnologia ad oggi più utilizzata per fornire questo tipo di stimoli.

Un beacon, infatti, non è altro che un piccolo congegno (mediamente grande quanto una scatola di fiammiferi) che consente l’emissione di segnali continui mediante il protocollo bluetooth (lo stesso, per intenderci, che connette i nostri cellulari al vivavoce della nostra auto o allo stereo di casa).

beacon proximity marketing

I beacon – fari, in inglese – sono appunto dei piccoli dispositivi alimentati a batteria che emettono un segnale costante in un raggio che varia dai pochi centimetri a qualche decina di metri. Questo segnale può essere raccolto da una app abilitata e utilizzato come interprete per segnalare alla app stessa che si trova in prossimità di una determinata posizione, nella quale il software deve reagire in modo preordinato – aprendo la scheda prodotto di una determinata lavastoviglie, per rimanere nell’esempio di poco fa.

Qual è il vantaggio? È, evidentemente, nella possibilità di connettere il cliente allo store, al punto di vendita, favorendo una interazione dinamica con lo smartphone dell’utente quando questi si trovi nel raggio d’azione del beacon.

Il cliente che approccia il settore lavastoviglie del nostro store vedrà apparire automaticamente sulla App del negozio, preventivamente installata sul suo smartphone, non solo caratteristiche e prezzi, ma anche risposte alle sue domande più tipiche relative alla tipologia di prodotto – ad esempio, consigli sulla scelta della classe energetica o su quale tipologia di detersivo sia più adeguata ad ogni modello.

Per questo, evidentemente, va costruita una strategia di marketing ad hoc che parta dall’analisi del tipo di attività commerciale e dal profilo tipico dell’utenza per creare risposte significative ai bisogni normalmente espressi dai clienti nel corso della loro visita nello store.

In questo modo, sarà possibile finalmente non solo concludere una vendita, ma anche creare una relazione stabile e significativa tra store e singolo cliente.

Marketing di prossimità: bidirezionalità e upselling

Tuttavia, si può andare ancora oltre.

Sì, perché la reale efficacia del marketing di prossimità non è solo nella capacità di inviare al cliente informazioni utili e pertinenti con i suoi interessi proprio mentre questi si stanno manifestando. È, soprattutto, in altre due sue caratteristiche: la bidirezionalità e la capacità di creare valore aggiunto sfruttando il meccanismo dell’upselling.

Attraverso questi meccanismi, sarà possibile portare l’ibridazione dei canali al massimo grado, controllando finalmente ogni fase del customer journey e rendendo l’esperienza utente nel negozio fisico molto simile a quella della shopping experience in un e-store.

proximity marketing offerte Un servizio clienti in linea (magari in remoto, e unico per una catena di negozi in franchising), la possibilità di creare user generated content in prossimità dei prodotti, l’esposizione sulla App di prodotti correlati con quello che si sta osservando e la possibilità di creare offerte istantanee contestualizzate, coupon e buoni sconto digitali da utilizzare in cassa al momento del check-out: sono solo alcuni esempi a caso su come si possa utilizzare una App di prossimità per creare un coinvolgimento del cliente nel punto vendita, costringendolo a una immersione totale e priva di elementi di distrazione e derive verso i siti e le applicazioni dei competitor.

Per farti capire bene di cosa sto parlando, ti chiedo di calarti allora in un contesto diverso dal punto vendita (che comunque andrebbe benissimo come esempio) e di immaginarti finalmente in vacanza.

Al tuo arrivo, l’hotel dove soggiorni ti ha fornito un beacon: una chiave personalizzata e correlata con il numero della tua camera. Fino a quando avrai con te il tuo beacon, le porte dell’hotel saranno tutte aperte per te: tramite l’App dedicata ai clienti potrai infatti avere un canale di comunicazione privilegiato con tutti i servizi dell’albergo. Potrai comunicare con il concierge in tempo reale, prenotare la SPA e la cena al ristorante dell’hotel, essere informato di tutto quanto succede nel luogo di villeggiatura: eventi, manifestazioni, cose interessanti da vedere.

Ma non solo: perché l’hotel potrà a sua volta proporti servizi aggiuntivi, coupon particolari (“Prenota subito la cena in camera con il 10% di sconto!”), prodotti e servizi di terze parti in convenzione (“Per tutte le clienti dell’hotel, oggi il parrucchiere Figaro applica una tariffa speciale per la messa in piega”). Il tutto, con possibilità di prenotare il servizio direttamente dalla App (e di pagarlo, in aggiunta).

Poi, quando partirai, consegnerai il beacon al check-out, e la app non ti darà più informazioni correlate con la tua permanenza, ma offerte e promozioni per favorire il tuo ritorno.

Fantascienza?

Dal punto di vista tecnico, no. Anzi. Tutto fattibile, tutto realizzabile. Dal punto di vista dell’albergatore o dello store manager, forse: ma ci auguriamo tutti che prima o poi anche queste categorie capiscano che investire sulla tecnologia e sul Proximity Marketing sia tutto, tranne che una spesa inutile.

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